Articoli , pensieri e riflessioni sul celibato sacerdotale (o celibato ecclesiastico) e sulla castità come consiglio evangelico.
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martedì 25 ottobre 2016

Giacomo Canobbio sul celibato sacerdotale "Celibi per il Regno dei cieli"

Celibi per il Regno dei cieli

di Giacomo Canobbio



SUL VALORE DELLA TRADIZIONE

Che nei primi tempi del cristianesimo i responsabili delle comunità fossero sposati appare innegabile. Addurre però tale ragione per sostenere che anche oggi così dovrebbe essere è almeno ingenuo, allo stesso modo in cui si sostenesse che si dovrebbe tornare a una organizzazione ecclesiastica sul modello delle Chiese apostoliche. […]

Non pare cogente neppure l’argomentazione che si appella ai due polmoni della Chiesa, quello occidentale e quello orientale, per immaginare una reciproca contaminazione. […] Se è vero che la forma compiuta del ministero ordinato è l’episcopato, si dovrebbe semmai riflettere sulle ragioni per le quali anche nelle Chiese orientali, cattoliche o ortodosse che siano, i vescovi vengano scelti tra i monaci che sono celibi. […]

Osservando con sguardo disincantato la storia si può dire che la decisione di legare ministero ordinato e celibato non è altro che attualizzazione di un dato di fatto presente nel Nuovo Testamento, benché questa decisione abbia tardato a essere presa in senso definitivo e anche una volta presa sia stata per alcuni secoli disattesa. […] Di fatto però si giunse gradualmente ad affermare che il celibato è un obbligo di stato dei ministri ordinati, e la Chiesa latina legittimamente sceglie di ordinare soltanto coloro che decidono di restare celibi.

L’obiezione più volte risuonata circa la legittimità di tale scelta pare avere poca consistenza: la Chiesa infatti può decidere le condizioni da richiedere ai suoi ministri poiché costoro entrano a servizio della missione della Chiesa e non sono liberi di stabilire chi e come si possa diventare partecipi della medesima missione. Ritenere che detta decisione sia autoritarismo e quindi negazione della libertà dello Spirito richiederebbe dimostrare che i singoli fedeli possano precisare l’articolazione della vita ecclesiale.


NECESSITÀ DELLA MISSIONE E OPPORTUNITÀ DEL CELIBATO

Il problema non riguarda pertanto la legittimità della decisione, bensì l’opportunità di mantenerla a fronte della situazione odierna: qualora non ci fossero sufficienti ministri ordinati celibi, la Chiesa potrebbe cambiare la sua decisione? Sappiamo che sia il Vaticano II sia Paolo VI avevano preso in considerazione il problema e ciò nonostante avevano ribadito che, fatte salve alcune eccezioni, la disposizione non sarebbe cambiata. […]

Nella scelta tra le due prospettive si deve richiamare la ragione fondamentale che ha portato alla decisione di ordinare soltanto uomini celibi: la dedizione totale alla causa del Regno nella imitazione di Cristo.

Si deve riconoscere che tale ragione è apparsa in forma chiara in tempi relativamente recenti e non sempre è stata disgiunta da pregiudizi sessuofobici, che portavano a considerare il matrimonio una forma di vita cristiana inferiore a quella celibataria. Ciò non toglie che essa resta plausibile, sebbene non cogente e non sempre del tutto scevra da sovrapposizione con ragioni che oggi appaiono spurie. […]

La ragione cristologica richiamata potrebbe quindi giustificare anche oggi il legame tra celibato e ministero presbiterale? […] Oppure possono le esigenze della vita e della missione della Chiesa richiedere che si interrompa una tradizione, che pur con fluttuazioni rimonta ai primi secoli? […]

La questione è resa ancora più acuta dall’attuale situazione religiosa. Di fonte al processo di scristianizzazione riscontrabile nei paesi del Nord del mondo, che va di pari passo con la banalizzazione della dimensione sessuale delle persone e delle relazioni, si può ipotizzare che il mantenimento della legge del celibato svolga una funzione evangelizzatrice? […] Se lo scopo è far entrare in forma determinante il Dio di Gesù Cristo nella vita delle persone, perché non mantenere uno stile di esistenza che significhi come Dio possa prendere possesso di una vita in modo tale da renderla trasparenza della sua signoria?

Si tratta ovviamente di "un" modo, non l’unico – nessuna delle figure di vita cristiana può pretendere di esaurire la trasparenza della signoria di Dio – e non si può dire che sia il migliore. Pare però si possa dire che è quello che maggiormente si collega con la funzione del ministero ordinato. Del resto è questa la motivazione gradualmente maturata nel corso del tempo. Il ministro ordinato ha il compito non solo di portare altri a vivere la vita cristiana, ma pure di mostrare che il Vangelo può assorbire tutte le energie, anche quelle più nobili – gli affetti, le relazioni sessuali – e riempire una vita. […]

Ovviamente una prospettiva di questo genere richiede che non si ponga l’accento solo sul celibato, ma su tutti gli aspetti della "imitatio Christi", a partire dalla povertà. La causa del Regno capace di assorbire tutte le energie buone di una persona umana dovrebbe essere mostrata come fonte di una vita in pienezza. […] E la dedizione alla causa del Regno ha di per sé forza evangelizzatrice. Lo si riscontra nella storia: i mistici sono sempre stati efficaci poli di evangelizzazione. Un ministero presbiterale senza dimensione mistica rischia di diventare una nobile funzione burocratica.

Assumere in forma coerente il valore evangelizzatore del celibato comporta necessariamente ripensare anche il modo di esercitare il ministero, liberandolo da compiti burocratici e organizzativi che impediscono di fatto la coltivazione della dimensione mistica. Pare sia anche questa, oltre che il riconoscimento dei ministeri laicali, la via per declericalizzare la Chiesa.

Comporta inoltre che si ammettano al ministero ordinato persone in grado di reggere alle alte esigenze di una vita celibataria per la causa del Regno. Qua e là si avverte un’eterogenesi dei fini: per avere un numero sufficiente di presbiteri non si presta adeguata attenzione alle condizioni psicologiche e spirituali dei candidati al ministero, con la conseguenza di defezioni e/o di comportamenti sessualmente deviati.

Comporta altresì che si faccia chiarezza nei casi di ambiguità: tollerare situazioni di "matrimoni clandestini" per non far mancare ministri ordinati nelle comunità non aiuta a far comprendere il valore del celibato per il ministero. Forse si potrebbe accettare che in alcune situazioni – per incapacità delle persone, per portati culturali – valgano le eccezioni previste per ministri di altre confessioni cristiane che aderiscono alla Chiesa cattolica. Si tratterebbe di eccezioni, da valutare con grande circospezione per sottolineare che nella Chiesa latina si riconosce il valore evangelizzatore del celibato dei presbiteri anche quando il numero di questi diminuisce e non a causa della richiesta celibataria.


CONCLUSIONE

Ripensare il celibato dei preti appare non solo opportuno, ma necessario per le seguenti ragioni:

1. Aiuta a riscoprire le ragioni che nella Chiesa latina hanno portato a conferire il ministero presbiterale solo a uomini celibi;
2. Invita a considerare il valore evangelizzatore di una scelta di vita che si accompagni al ministero ordinato;
3. Stimola a riconsiderare le forme di esercizio del ministero presbiterale;
4. Provoca a domandarsi come la Chiesa possa svolgere la sua missione in un contesto di scristianizzazione;
5. Apre al coraggio di ammettere, senza infingimenti né percorsi superficiali, eccezioni alla legge del celibato per presbiteri che per motivi seri di carattere culturale o personale non sono in grado di mantenere l’impegno assunto dopo un rigoroso percorso formativo.

Resta il problema di come garantire un numero sufficiente di presbiteri per l’eucaristia che è il centro della vita delle comunità cristiane. Vale però l’interrogativo già posto da Karl Rahner: come stabilire di quanti preti ha bisogno oggi la Chiesa?

È ovvio che, se si mantiene il modello tradizionale (ma a partire da quando?) di pastorale, il numero di preti necessariamente dovrà essere alto. Quand’anche si continuasse a pensare secondo tale modello, si può tuttavia presumere che nell’attuale situazione sociale il numero dei preti non aumenterà togliendo l’obbligo del celibato. Pare sia piuttosto necessario ripensare l’impostazione della pastorale e con essa dell’articolazione dei ministeri tutti nella Chiesa.

martedì 3 marzo 2015

Senza il celibato resta solo il proselitismo

Fonte : La Croce

Forse non tutti sanno che il celibato dei sacerdoti è solo l’aspetto giuridico di un’esigenza molto più profonda e fondata: quella della perfetta continenza. Se è storicamente discussa la tesi secondo cui la cosiddetta “legge del celibato” risalirebbe al IV secolo, è fuori discussione l’esistenza della precedente “disciplina della continenza”, secondo la quale, anche gli sposati che accedevano ad uno degli ordini sacri (vescovi, preti, diaconi) erano tenuti a “non usare più” del matrimonio. La richiesta del consenso delle mogli per l’ordinazione, ha qui il proprio fondamento: esse, infatti, rinunciavano ad un diritto naturale, per il bene della Chiesa e la Chiesa, madre, non procedeva all’ordinazione senza che tale consenso fosse assunto e manifestato consapevolmente.

Anche i dati biblici sono incontrovertibili: Gesù è stato celibe; Gesù ha scelto liberamente e volontariamente la vita celibataria (dubitare di ciò significa dubitare dell’integrità della sua umanità); Gesù ha chiesto la continenza a tutti i suoi apostoli, sia a Pietro sposato, sia a Giovanni celibe. Tale richiesta emerge, in modo diretto, nell’invito a seguirlo, ed in modo indiretto, nella risposta pronta e totale degli apostoli al Signore. Essi sono stati fedeli alla continenza sia nei tre anni della peregrinazione in Palestina, sia dopo la morte e risurrezione di Gesù. Non c’è, infine, alcuna prova scritturistica per affermare che la richiesta della continenza non sia stata trasmessa dagli apostoli ai loro successori.
Storicamente, poi, è necessario riconoscere che la disciplina del celibato/continenza è stata tenuta in grandissima considerazione sia nella Chiesa latina, sia in quella orientale, anzi i documenti storici sono di maggiore rilievo per quest’ultima. (Policarpo, Clemente d’Alessandria, Origene, Costituzione siriana detta Didascalia degli apostoli, Concilio di Nicea, Basilio il Grande, Efrem il Siro, Cirillo di Gerusalemme, Giovanni Crisostomo).

Ancora oggi tutte le Chiese orientali scelgono solo i celibi per la pienezza del sacramento dell’ordine che è l’episcopato.
Ancora oggi i sacerdoti orientali sono tenuti all’obbligo della continenza, per poter celebrare l’Eucaristia. Questa è la ragione per cui, di solito, celebrano solo la domenica, osservando per i giorni precedenti la continenza. Il celibato sacerdotale, allora, è solo la “veste giuridica”, che la Chiesa si è data per preservare qualcosa di molto più importante: la Tradizione apostolica (e quindi immutabile) della continenza.


Il cristianesimo si diffonde solo per attrazione, per testimonianza. Che cos’è la testimonianza?
È quel modo di vivere che sarebbe assurdo se non ci fosse Cristo! È più il modo di vivere è assurdo, più la testimonianza è forte, scioccante, intollerabile e quindi da eliminare. Il celibato per il Regno dei Cieli è esattamente questo: un modo di vivere assurdo per chi non ri-conosce Cristo. Ma davanti a tutti è testimonianza di Lui, del fatto che si può vivere e morire per Lui, del fatto che la sua croce e risurrezione bastano a dare senso all’intera esistenza dell’uomo. La più grande testimonianza (in greco martyria) che ancora oggi, quotidianamente, i cristiani offrono al mondo è il martirio fisico: l’offerta della vita fisica per testimoniare Cristo e la sua irriducibile sovranità sul mondo. Perché “Cesare non è Dio”, come afferma il Catechismo al n. 450. Dopo il martirio fisico, c’è il martirio della castità: l’offerta della forza più grande presente nell’uomo, dopo l’istinto di sopravvivenza, che è la forza affettiva.

Non è un caso che la secolarizzazione vada a braccetto con la banalizzazione della sessualità umana. Ridotta a mero istinto, essa non parla più di relazione, dell’altro e quindi dell’alterità suprema trascendente: di Dio.
Gesù ha vissuto da celibe ed ha chiesto agli apostoli di vivere nello stesso modo (apostolica vivendi forma) perché il cristianesimo fosse testimoniato dall’eccezionalità di una presenza; dalla forza di un “umano cambiato” grazie all’incontro con Cristo; cambiato nel modo di vivere e di amare; cambiato fino all’accoglienza, nella propria carne, nel nulla di se stessi, del tutto di Dio.

Solo un’umanità cambiata può attirare a Cristo; solo così il cristianesimo potrà continuare a trasmettersi alle nuove generazioni e diffondersi: per attrazione.
Per l’attrazione di un modo di vivere nuovo, che sarebbe assurdo se non ci fosse Cristo. Al di fuori della testimonianza, resta solo il triste proselitismo che, invece di porre di fronte alla Presenza, cerca di convincere di alcune -pur grandi- idee.
I cristiani non dànno la vita per un’idea, ma per una persona; il celibato per il regno è la scelta che Gesù ha compiuto perché coloro che Egli chiama a guidare la sua Chiesa siano, innanzitutto ed in modo supremo, testimoni. E non ci sono infedeltà storiche che possano cancellare la luminosità (talora abbagliante) della testimonianza di chi lascia tutto per seguire il Signore.
Ancora oggi. Dopo duemila anni. Con la “convenienza umana” del centuplo di ragione, di senso e di amore e di umanità che ciò promette. E mantiene.


Don Salvatore Vitiello

giovedì 24 luglio 2014

Cardinal Giacomo Biffi sul celibato ecclesiastico


Il carisma della vocazione sacerdotale, rivolta al culto divino e al servizio religioso e pastorale del popolo di Dio, è distinto dal carisma che induce alla scelta del celibato come stato di vita consacrata» (Sacerdotalis celibatus 15).

La connessione tra l'uno e l'altro carisma - stabilita dalla legge canonica del celibato dei sacri ministri - non è subito evidente. La questione merita un'analisi più accurata.
Certo, la Chiesa ha istituito questo collegamento tra sacerdozio ministeriale e celibato con una decisione sua; una decisione di indole "storica", libera, positiva, che però è legittima e motivata.

DECISIONE LEGITTIMA E MOTIVATA

È una decisione legittima, perché è posta nell'ambito della sua potestà di regolare i fatti ecclesiali, e non lede i diritti di alcuno. Non bisogna dimenticare che l'essere costituiti in un ministero non è configurabile in un diritto per nessuno: ogni ministero è un compito liberamente assegnato dall'autorità competente secondo criteri che nessuno può sindacare; e non per favorire le inclinazioni delle singole persone, bensì in vista del miglior bene della comunità.
È una decisione motivata, se non altro dalla convenienza di assicurare mediante un dispositivo canonico che la "preferenza di Cristo" per lo stato celibatario continui ad avere una rispondenza e una vitalità nella storia e nella coscienza ecclesiale.

GUARDARE AL SIGNORE GESÙ

Queste considerazioni sono giuste, ma restano un po' in superficie e non ci fanno cogliere tutta la verità delle cose, l'intima coerenza del disegno di Dio, la consonanza con questo disegno dell'ordinamento ecclesiale. Per approfondire la questione, dobbiamo rifarci al Signore Gesù, sacerdote unico e pienamente sufficiente della Nuova Alleanza: ogni autentica comprensione del sacerdozio ministeriale e dei suoi problemi deve partire da lui.

CELIBATO DI CRISTO

Una prima domanda: perché Gesù è rimasto celibe? Perché non si è mai sposato, pur essendo arrivato all'età matura ed essendo vissuto in una società che non aveva la consuetudine celibataria tra i valori riconosciuti?
Non è possibile considerare questo fatto come del tutto occasionale e privo di significazione, perché nella vita di Cristo niente è fortuito e insignificante. Egli - con tutti gli atti e gli avvenimenti della sua esistenza umana - è interamente un "segno": è doveroso leggere fino in fondo questo "segno" che è Cristo.
Il celibato di Cristo, come quello del profeta Geremia, ha senza dubbio un'indole manifestativa. Mentre però in Geremia il celibato è simbolo della desolazione d'Israele (cf Ger 16,1ss.), in Gesù è la prova che l'umanità non è rimasta preda dell'abbandono e della solitudine, ma al contrario è chiamata a entrare in una comunione sponsale col suo Signore.

CRISTO SPOSO

Gesù è apparentemente celibe, in realtà è in senso assoluto lo "Sposo": non si sposa perché è già sposato. È bene qui richiamare la grande insistenza con la quale il Nuovo Testamento ci presenta il tema del "Cristo Sposo".
La catechesi sinottica ce lo offre nelle sue parabole: quella del banchetto nuziale del figlio del re (cf Mt 22,2), quella delle damigelle d'onore del matrimonio (cf Mt 25,1), quella del padrone che torna dallo sposalizio nel cuore della notte (cf Lc 12,38). Ed è da ricordare anche il "Loghion", riferito da tutti e tre i Sinottici in cui Gesù è presentato come lo «Sposo» e i suoi discepoli come gli «invitati alle nozze» (cf Mt 9,15; Mc 19; Lc 5,34).
Il quarto vangelo attribuisce a Giovanni il Battezzatore l'identificazione di Gesù come lo sposo che «possiede la sposa» (cf Gv 3,29). L'Apocalisse raffigura l'instaurazione del Regno di Dio nelle «nozze dell'Agnello», alle quali la sposa è stata preparata: «Le hanno dato una veste di lino puro splendente» (cf Ap 19,7-8). E anche qui si parla, come nei Sinottici, degli «invitati»: «Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell'Agnello» (Ap 19,9). San Paolo, usando l'immagine sponsale, stabilisce l'equivalenza tra la «sposa» e la comunità cristiana (cf 2 Cor 11,2), e alla luce di questa figura approfondisce l'intelligenza del vincolo sostanziale che unisce Cristo alla Chiesa (cf Ef 5,25-32).
Come si vede, la Chiesa delle origini riteneva fondamentale l'argomento della "sponsalità" di Cristo per una conoscenza compiuta del mistero della salvezza, tanto che noi lo ritroviamo nei più diversi filoni catechetici della comunità primitiva.

IL SENSO DELLA SPONSALITÀ DI CRISTO

Una seconda domanda: che cosa comporta per Cristo il suo essere sposo nei confronti della Chiesa. O, che è lo stesso, come si attua in concreto la sua sponsalità? San Paolo, nella lettera agli Efesini può guidarci e aiutarci ad arrivare a una risposta adeguata.
Sposo vuol dire che Cristo è «capo» della Chiesa, la quale perciò è il «corpo» ed è sottomessa a lui (cf Ef 5,23.24). Vuol dire che l'ha presa dalla corruzione del mondo, le ha dato il suo nome, e così l'ha salvata: egli è «il salvatore del corpo» (cf Ef 5,23). Vuol dire che l'ha amata e la ama, al punto da dare se stesso per lei (cf Ef 5,25). Vuol dire che la rigenera e la purifica continuamente per mezzo dei sacramenti e della parola di Dio (cf Ef 5,26). Vuol dire che attende senza stanchezza all'opera della sua santificazione, in modo che sia senza macchia e senza ruga, ma santa e immacolata (cf Ef 5,27). Vuol dire che «la nutre e la cura» (cf Ef 5,29), come fa il pastore con il suo gregge.
Come si vede, l'indole sponsale di Cristo evoca tutte le funzioni di "guida", di "maestro", di "santificatore", di "pastore", alle quali il Risorto - presentandosi come il "mandato" dal Padre e l'apostolo per eccellenza - associa gli apostoli, cioè coloro che sono "mandati" da lui: «Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi» (Gv 20,21).
Sono i compiti che, secondo la testimonianza del vangelo di Matteo, Gesù lascia ai suoi «mandati» come l'estrema consegna: «Andate... fate discepoli... battezzate... insegnate a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (cf Mt 28,19.20). Sono gli stessi compiti che sono affidati ai presbiteri nel rito dell'ordinazione.

IL SACERDOTE «SACRAMENTO» DEL CRISTO SPOSO

II sacerdozio ministeriale, che rende presente e percepibile in mezzo al popolo di Dio il Signore Gesù nelle sue funzioni regali, magisteriali e profetiche, è dunque sostanzialmente una partecipazione - mediante il sacramento dell'ordine che ci immette nella trama delle missioni che si diparte dal Risorto - alla prerogativa nuziale di Cristo.
Il sacerdote è quindi una specie di sacramento del Cristo Sposo nell'atto della sua multiforme donazione alla Chiesa, ed è chiamato a condividere il medesimo amore sponsale - o, che è lo stesso, la medesima carità pastorale - che colma il cuore del Signore Gesù e dal cuore di Gesù si riverbera sulla «nazione santa».
Per la sua diretta comunione con la natura sponsale del Redentore, anche il sacerdote ministeriale, come lui, con lui e in lui, possiede già quel "mistero sponsale", di cui il matrimonio tra l'uomo e la donna è solo figura; per ripetere e cogliere in tutte le sue implicazioni la parola giovannea, anche lui «possiede la sposa» (cf Gv 3,29).
Sotto questo profilo, il sacerdote che volesse contrarre matrimonio darebbe luogo a un non-senso teologico: aspirerebbe a possedere "in figura" ciò che è già suo nella verità.

IL CELIBATO ECCLESIASTICO 

Questa conclusione trova conferma nella disciplina canonica che, dopo qualche incertezza, alla fine è prevalsa tanto nella Chiesa orientale quanto in quella occidentale: tutte le Chiese, che hanno conservato un'effettiva dimensione sacramentale, convengono nel non riconoscere la facoltà di contrarre matrimonio ai sacri ministri (diaconi, presbiteri, vescovi).
La norma universale manifesta prima di tutto la volontà di assicurare con una disposizione giuridica il permanere nella cristianità della "preferenza di Cristo"; più profondamente essa contiene un principio di "logica sacramentale" almeno confusamente intuito: e cioè che, mentre è ammissibile un passaggio dall'essere solo "segno" all'essere "realtà", non ha plausibilità l'ipotesi di un passaggio dall'essere già "realtà" all'essere "segno". Questo principio ci aiuta a comprendere la prassi, vigente per qualche situazione della Chiesa, di chiamare ai sacri ministeri anche dei coniugati. Nella Chiesa orientale tale possibilità è normalmente assicurata per il diaconato e per il presbiterato (non però per l'episcopato); nella Chiesa latina è data per il diaconato (per il presbiterato solo in casi del tutto eccezionali).
È però importante che si colga, indipendentemente dalle pratiche applicazioni, la radicale diversità e la non confrontabilità dei due fenomeni: quello dello sposo che riceve un ordine sacro e quello del sacerdote che si sposa.
Autorizzando l'ordinazione sacerdotale dei coniugati, la Chiesa orientale è mossa dal desiderio di venire incontro alle necessità pastorali delle comunità cristiane (e non è prevedibile - né auspicabile - che tale disciplina si estenda all'Occidente). Invece, un'eventuale autorizzazione al matrimonio dei preti (contro la prassi di tutte le vere Chiese) sarebbe motivato dal desiderio di venire incontro alle richieste delle singole persone, alle quali si può provvedere anche in altro modo (ad esempio, concedendo il ritorno alla condizione laicale): nessuna Chiesa, che sia veramente e pienamente tale, né in Oriente né in Occidente, prende in considerazione ipotesi come questa.

martedì 22 luglio 2014

Concilio di Trento sui preti sposati e dispense al celibato (Paolo Sarpi)

Esamine e condanna del quinto e sesto articolo del celibato, che rimette su le
dispense


Il giorno 4 di marzo si diede principio di parlar sopra la terza classe, e quanto al
quinto articolo tutti furono conformi che fosse eretico e dannabile; del sesto parimente
non vi fu differenza: tutti convennero che fosse eresia. Vi fu disparere, perché una parte
diceva che, quantonque tra la Chiesa orientale et occidentale vi fosse differenza, perché
questa non ammetteva al sacerdozio, né agl'ordini sacri, se non persone continenti, e
quella anco ammetteva li maritati, nondimeno nissuna Chiesa mai concesse che i
sacerdoti si potessero maritare, e che questo s'ha per tradizione apostolica e non per
raggion del voto, né per alcuna constituzione ecclesiastica, e però che conveniva dannar
per eretici assolutamente tutti quelli che dicevano esser lecito a' sacerdoti maritarsi,
senza restringersi agl'occidentali e senza far menzione né di voto, né di legge nella
Chiesa, e questi non concedevano che si potesse per causa alcuna dispensare li sacerdoti
al matrimonio; altri dicendo che il matrimonio era vietato a due sorti di persone e per
due diverse cause: a' chierici secolari per l'ordine sacro, per legge ecclesiastica; et a'
regolari per il voto solenne; che la proibizione del matrimonio per constituzion della
Chiesa può esser dal pontefice levata, e restando ancora quella in piedi, il pontefice può
dispensarlo. Allegavano gl'essempii de' dispensati e l'uso dell'antichità che, se un
sacerdote si maritava, non separavano il matrimonio, ma solo lo rimovevano dal
ministerio; il che fu continuamente osservato sino al tempo d'Innocenzo II, quale, primo
di tutti li pontefici, ordinò che quel matrimonio s'avesse per nullo. Ma per quel che
tocca gl'obligati alla continenza per voto solenne, essendo questo de iure divino,
dicevano non poter il pontefice dispensarvi. Allegavano in ciò il luogo d'Innocenzo III,
il quale affermò che l'osservazione della castità e l'abdicazione della proprietà sono cosí
aderenti agl'ossi de' monachi, che manco il sommo pontefice può dispensarci;
soggiongendo appresso l'opinione di san Tomaso e d'altri dottori, li quali asseriscono
che il voto solenne è una consecrazione dell'uomo a Dio, e non potendo alcun fare che
la cosa consecrata possi ritornar agl'usi umani, non può parimente fare che il monaco
possi ritornar all'uso del matrimonio, e che tutti li scrittori catolici condannano d'eresia
Lutero e li seguaci, per aver detto che il monacato è invenzione umana, et asseriscono
che sia di tradizione apostolica, a che diametralmente ripugna il dire che il pontefice
possi dispensare.
Altri defendevano che anco con questi poteva il pontefice dispensare, e si
maravegliavano di quelli che, concedendo la dispensa de' voti semplici, negavano quella
de' solenni, quasi che non fosse chiarissimo per la determinazione di Bonifacio VIII che
ogni solennità è de iure positivo, valendosi a punto del medesimo essempio delle cose
consecrate per provar la loro sentenza; perché, sí come non si può far che una cosa
consecrata, rimanendo consecrata, sia adoperata ad usi umani, ma ben si può levar la
consecrazione e farla profana, onde lecitamente torni ad ogni uso promiscuo, cosí
l'uomo consecrato a Dio per il monacato, restando consecrato, non può applicarsi al
matrimonio, ma levatogli il monacato e la consecrazione che nasce dalla solennità del
voto, la qual è de iure positivo, niente osta che non possi usar la vita commune
degl'uomini. Adducevano luoghi di sant'Agostino, da' quali manifestamente appare che
nel suo tempo qualche monaco si maritava. E se ben era stimato che facendolo peccasse,
nondimeno il matrimonio era legitimo, e sant'Agostino riprende quelli che lo
separavano.
Si trascorse a parlar se fosse ben in questi tempi dispensare overo levar il
precetto della continenza a' sacerdoti; e questo perché il duca di Baviera, avendo
mandato a Roma per ricercar dal pontefice la communione del calice, aveva insieme
ricchiesto che fosse concesso a' maritati di poter predicare; sotto il qual nome
s'intendeva tutto il ministerio ecclesiastico, essercitato da' parochi nella cura d'anime.
Furono dette molte raggioni a persuader che fosse concesso, li quali si risolvevano in
due: nel scandalo che davano li sacerdoti incontenenti e nella penuria di persone
continenti, atte ad essercitar il ministerio; et era in bocca di molti quel celebre detto di
papa Pio II, che il matrimonio per buona raggione fu levato dalla Chiesa occidentale a'
preti, ma per raggione piú potente conveniva renderglielo. Da quelli di contrario parere
si diceva che non è da savio medico guarir un male con causarne un peggiore. Se li
sacerdoti sono incontenenti et ignoranti, non per questo s'ha da prostituir il sacerdozio ne' maritati:
 e qui erano allegati tanti luoghi de' pontefici, li quali però non lo permisero,
che dicevano esser impossibile attender alla carne et allo spirito, essendo il matrimonio
un stato carnale. Che il vero rimedio era con l'educazione, con la diligenza, co' premii e
con le pene proveder continenti e litterati per questo ministerio; ma tra tanto, per
rimedio d'incontinenza, non ordinare se non persone provate di buona vita e, per la
dottrina, far stampar omiliarii e catechismi in lingua germanica e francese, formati da
uomini dotti e religiosi, li quali s'avessero da legger al popolo cosí de scritto e col libro
in mano da' sacerdoti imperiti; col qual modo li parochi, se ben insufficienti, potrebbero
satisfar al popolo.
Furono biasmati li legati d'aver lasciato disputar questo articolo come pericoloso,
essendo cosa chiara che coll'introdozzione del matrimonio de' preti si farebbe che tutti
voltassero l'affetto et amor loro alle mogli, a' figli e, per consequenza, alla casa et alla
patria, onde cesserebbe la dependenza stretta che l'ordine clericale ha con la Sede
apostolica, e tanto sarebbe conceder il matrimonio a' preti, quanto distrugger la ierarchia
ecclesiastica e ridur il pontefice che non fosse piú che vescovo di Roma. Ma li legati si
scusavano che, per compiacer il vescovo di Cinquechiese, il qual aveva ricchiesto
questo non solo per nome del duca, ma dell'imperatore ancora, e per render li cesarei piú
facili a non far grand'insistenza sopra la riforma che piú importava, erano stati constretti
compiacerlo.
I francesi, veduto che l'opinione piú commune era che un prete potesse esser
dispensato al matrimonio, si congregarono insieme per consultare se era opportuno
dimandar la dispensa per il cardinale di Borbone, come Lorena e gl'ambasciatori
avevano in commissione; e Lorena fu di parer di no, con dire che senza dubio nel
concilio vi sarebbe difficoltà nel persuader che la causa fosse raggionevole et urgente,
poiché per aver posterità non era necessario, essendo il re giovane, con doi fratelli et
altri prencipi del sangue catolici, e per aver governo mentre il re pervenisse alla
maggiorità, lo poteva far restando nel clero. Che per le differenze che sono tra francesi
et italiani, cosí per causa della riforma, come per l'autorità del papa e de' vescovi, quelli
che tenevano opinioni contrarie alle loro studiosamente si sarebbono opposti anco a
questa dimanda; che meglio era voltarsi al papa, overo aspettar meglior occasione et
esser assai per quel tempo l'operare che non sia stabilita dottrina che possi pregiudicare.
Fu stimato da alcuni che Lorena nel suo interno non avesse caro che Borbon si
maritasse, perché potesse ciò succeder con emulazione e diminuzione di casa sua; ma ad
altri non pareva verisimile: prima, perché per questa via si levava ogni speranza a
Condé, del quale egli molto piú si diffidava; anzi, che il passar Borbon allo stato
secolare fosse sommamente desiderato da esso Lorena, il qual, levato il Borbone dal
clero, sarebbe restato il primo prelato di Francia, et in occasione di patriarca, che egli
molto ambiva, sarebbe a lui indubitatamente toccato, dove che essendo Borbon prete,
non era possibile pensar di farlo posporre

giovedì 17 luglio 2014

Cardinal Brandmuller risponde a Scalfari e Papa Francesco sul celibato

Noi sacerdoti, celibi come Cristo

Ripetizioni di storia ecclesiastica al “bergogliano” Scalfari da parte di un gran cardinale tedesco

di Walter Brandmüller*

Ill.mo dott. Scalfari,
anche se non godo del privilegio di conoscerla di persona, vorrei tornare alle Sue affermazioni riguardo il celibato contenute nel resoconto del Suo colloquio con Papa Francesco, pubblicate il 13 luglio 2014 e immediatamente smentite nella loro autenticità da parte del direttore della sala stampa vaticana. In quanto “vecchio professore” che per trent’anni ha insegnato Storia della chiesa all’università, desidero portare a Sua conoscenza lo stato attuale della ricerca in questo campo.
In particolare, deve essere sottolineato innanzitutto che il celibato non risale per niente a una legge inventata novecento anni dopo la morte di Cristo. Sono piuttosto i Vangeli secondo Matteo, Marco e Luca che riportano le parole di Gesù al riguardo.
Matteo scrive (19,29): “… Chiunque abbia lasciato in mio nome case o fratelli, sorelle, padre, madre, figli o campi, otterrà cento volte di più e la vita eterna”.
Molto simile è anche quanto scrive Marco (10,29): “In verità, vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia che non riceva cento volte tanto…”.
Ancora più preciso è Luca (18,29 ss.): “In verità, io vi dico: chiunque abbia abbandonato per il Regno di Dio casa o moglie, fratelli, genitori o figli, riceverà già ora, in cambio molto di più, e nel mondo futuro la vita eterna”.
Gesù non rivolge queste parole alle grandi masse, bensì a coloro che manda in giro, affinché diffondano il suo Vangelo e annuncino l’avvento del Regno di Dio.
Per adempiere a questa missione è necessario liberarsi da qualsiasi legame terreno e umano. E visto che questa separazione significa la perdita di ciò che è scontato. Gesù promette una “ricompensa” più che appropriata.
A questo punto viene spesso rilevato che il “lasciare tutto” si riferiva solo alla durata del viaggio di annuncio del suo Vangelo, e che una volta terminato il compito, i discepoli sarebbero tornati alle loro famiglie. Ma di questo non c’è traccia. Il testo dei Vangeli, accennando alla vita eterna, parla peraltro di qualcosa di definitivo.
Ora, visto che i Vangeli sono stati scritti tra il 40 e il 70 d. C., i suoi redattori si sarebbero messi in cattiva luce se avessero attribuito a Gesù parole alle quali poi non corrispondeva la loro condotta di vita. Gesù, infatti, pretende che quanti sono resi partecipi della sua missione adottino anche il suo stile di vita.
Ma cosa vuol dire allora Paolo, quando nella prima Lettera ai Corinzi (9,5) scrive: “Non sono libero? Non sono un apostolo? … Non abbiamo il diritto di mangiare e bere? Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, esattamente come gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa? Dovremmo essere solo io e Barnaba a dover rinunciare al diritto di non lavorare?”.
Queste domande e affermazioni non danno per scontato che gli apostoli fossero accompagnati dalle rispettive mogli? Qui bisogna procedere con cautela. Le domande retoriche dell’apostolo si riferiscono al diritto che ha colui che annuncia il Vangelo di vivere a spese della comunità, e questo vale anche per chi lo accompagna.
E qui si pone ovviamente la domanda su chi sia questo accompagnatore. L’espressione greca “adelphén gynaìka” necessita di una spiegazione. “Adelphe” significa sorella. E qui per sorella nella fede si intende una cristiana, mentre “Gyne” indica – più genericamente – una donna, vergine, moglie o sposa che sia. Insomma un essere femminile. Ciò rende però impossibile dimostrare che gli apostoli fossero accompagnati dalle mogli. Perché, se invece così fosse, non si capirebbe perché si parli distintamente di una adelphe come sorella, dunque cristiana. Per quel che riguarda la moglie, bisogna sapere che l’apostolo l’ha lasciata nel momento in cui è entrato a far parte della cerchia dei discepoli.
Il capitolo 8 del Vangelo di Luca aiuta a fare più chiarezza. Li si legge: “(Gesù) venne accompagnato dai dodici e da alcune donne che aveva guarito da spiriti maligni e malattie: Maria Maddalena, dalla quale erano usciti sette demoni. Giovanna, la moglie di Cuza, un funzionario di Erode. Susanna, e molte altre. Tutte loro servivano Gesù e i discepoli con quel che possedevano”. Da questa descrizione pare logico dedurre che gli apostoli avrebbero seguito l’esempio di Gesù.
Inoltre va richiamata l’attenzione sull’appello empatico al celibato o all’astinenza coniugale fatto dall’apostolo Paolo (1. Cor. 7,29 ss): “Perché io vi dico, fratelli: il tempo è breve. Per questo, chi ha una moglie deve in futuro comportarsi come se non ne avesse una…”. E ancora: “Il celibe si preoccupa delle questioni del Signore: vuole piacere al Signore. L’ammogliato si preoccupa delle cose del mondo: vuole piacere a sua moglie. Così finisce per essere diviso in due”. È chiaro che Paolo con queste parole si rivolge in primo luogo a vescovi e sacerdoti. E lui stesso si sarebbe attenuto a tale ideale.
Per provare che Paolo o lo Chiesa dei tempi apostolici non avessero conosciuto il celibato vengono tirate in ballo, a volte, le lettere a Timoteo e Tito, le cosiddette lettere pastorali. E in effetti, nella prima lettera di Timoteo (3,2) si parla di un vescovo sposato. E ripetutamente si traduce il testo originale greco nel seguente modo: “Il vescovo sia il marito di una femmina”, il che viene inteso come precetto. E sì, basterebbe una conoscenze rudimentale del greco, per tradurre correttamente: “Per questo il vescovo sia irreprensibile, sia sposato una volta sola (e deve essere marito di una femmina!!), essere sobrio e assennato…”. E anche nel libro a Tito si legge: “Un anziano (cioè un sacerdote, vescovo) deve essere integerrimo e sposato una volta sola…”.
Sono indicazioni che tendono a escludere la possibilità che venga ordinato sacerdote-vescovo chi, dopo la morte della moglie, si è risposato (bigamia successiva). Perché, a parte il fatto che a quei tempi non si vedeva di buon occhio un vedovo che si risposava, per la chiesa si aggiungeva poi la considerazione che un uomo così non poteva dare alcuna garanzia di rispettare l’astinenza, alla quale un vescovo o sacerdote doveva votarsi.

La pratica della Chiesa post-apostolica

La forma originaria del celibato prevedeva dunque che il sacerdote o il vescovo continuassero la vita familiare, ma non quella coniugale. Anche per questo si preferiva ordinare uomini in età più avanzata.
Il fatto che tutto ciò sia riconducibile ad antiche e consacrate tradizioni apostoliche, lo testimoniano le opere di scrittori ecclesiastici come Clemente di Alessandria e il nordafricano Tertulliano, vissuti nel Duecento dopo Cristo. Inoltre, sono testimoni dell’alta considerazione di cui godeva l’astinenza tra i cristiani una serie di edificanti romanzi sugli apostoli: si tratta dei cosiddetti atti degli apostoli apocrifi, composti ancora nel II secolo e molto diffusi.
Nel successivo III secolo si moltiplicano e diventano sempre più espliciti – soprattutto in oriente – i documenti letterari sull’astinenza dei chierici. Ecco per esempio un passaggio tratto dalla cosiddetta didascalia siriaca: “Il vescovo, prima di essere ordinato, deve essere messo alla prova, per stabilire se è casto e se ha educato i suoi figli nel timore di Dio”. Anche il grande teologo Origene di Alessandria (+ 253/’54) conosce un celibato di astinenza vincolante; un celibato che spiega e approfondisce teologicamente in diverse opere. E ci sarebbero ovviamente altri documenti da portare a sostegno, cosa che ovviamente qui non è possibile.

La prima legge sul celibato

Fu il Concilio di Elvira del 305/’06 a dare a questa pratica di origine apostolica una forma di legge. Con il Canone 33, il Concilio vieta ai vescovi, sacerdoti, diaconi e a tutti gli altri chierici rapporti coniugali con la moglie e vieta loro altresì di avere figli. Ai tempi si pensava dunque che astinenza coniugale e vita familiare fossero conciliabili. Così, anche il Santo Padre Leone I, detto Leone Magno, attorno al 450 scriveva che i consacrati non dovevano ripudiare le loro mogli. Dovevano restare insieme alle stesse, ma come se “non le avessero” scrive Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi (7,29).
Con il passar del tempo, si tenderà vieppiù ad accordare i sacramenti solo a uomini celibi. La codificazione arriverà nel medioevo, epoca in cui si dava per scontato che il sacerdote e il vescovo fossero celibi. Altra cosa è il fatto che la disciplina canonica non venisse sempre vissuta alla lettera, ma questo non deve stupire. E, com’è nella natura delle cose, anche l’osservanza del celibato ha conosciuto nel corso dei secoli alti e bassi.
Famosa è per esempio la disputa molto accesa che si ebbe nell’XI secolo, ai tempi della cosiddetta riforma gregoriana. In quel frangente si assistette a una spaccatura così netta – soprattutto nella chiesa tedesca e francese – da portare i prelati tedeschi contrari al celibato a cacciare con la forza dalla sua diocesi il vescovo Altmann di Passau. In Francia, gli emissari del Papa incaricati di insistere sulla disciplina del celibato venivano minacciati di morte, e il santo abate Walter di Pontoise venne picchiato, durante un sinodo tenutosi a Parigi, dai vescovi contrari al celibato e sbattuto in prigione. Ciò nonostante, la riforma riuscì a imporsi, e si assistette a una rinnovata primavera religiosa.
È interessante notare che la contestazione del precetto del celibato si è sempre avuta in concomitanza con segnali di decadenza nella Chiesa, mentre in tempi di rinnovata fede e di fioritura culturale si notava una rafforzata osservanza del celibato.
E non è certo difficile trarre da queste osservazioni storiche paralleli con l’attuale crisi.

I problemi della Chiesa d’oriente

Restano aperte ancora due domande che vengono poste frequentemente. C’è quella che riguarda la pratica del celibato da parte della chiesa cattolica del regno bizantino e del rito orientale: questa che non ammette il matrimonio per vescovi e monaci, ma lo accorda ai sacerdoti, a patto che si siano sposati prima di prendere i sacramenti. E prendendo proprio ad esempio questa pratica, c’è chi si chiede se non potrebbe essere adottata anche dall’occidente latino. A questo proposito va innanzitutto sottolineato che proprio a oriente la pratica del celibato astinente è stata ritenuta vincolante. Ed è solo durante il Concilio del 691, il cosiddetto Quinisextum o Trullanum, quando risultava evidente la decadenza religiosa e culturale del regno bizantino, che si giunge alla rottura con l’eredità apostolica. Questo Concilio, influenzato in massima parte dall’imperatore, che con una nuova legislazione voleva rimettere ordine nelle relazioni, non fu però mai riconosciuto dai papi. È proprio ad allora che risale la pratica adottata dalla Chiesa d’oriente. Quando poi, a partire dal XVI e XVII secolo, e successivamente, diverse chiese ortodosse tornarono alla chiesa d’occidente, a Roma si pose il problema su come comportarsi con il clero sposato di quelle chiese. I vari papi che si susseguirono decisero, per il bene e l’unità della Chiesa, di non pretendere dai sacerdoti tornati alla Chiesa madre alcuna modifica del loro modo di vivere.

L’eccezione nel nostro tempo

Su una simile motivazione si fonda anche la dispensa papale dal celibato concessa – a partire da Pio XII – ai pastori protestanti che si convertono alla Chiesa cattolica e che desiderano essere ordinati sacerdoti. Questa regola è stata recentemente applicata anche da Benedetto XVI ai numerosi prelati anglicani che desideravano unirsi, in conformità alla constitutio apostolica Anglicanorum coetibus, alla Chiesa madre cattolica. Con questa straordinaria concessione, la chiesa riconosce a questi uomini di fede il loro lungo e a volte doloroso cammino religioso, giunto con la con-versione alla meta. Una meta che in nome della verità porta i diretti interessati a rinunciare anche al sostentamento economico fino a quel momento percepito. E l’unità della Chiesa, bene di immenso valore, che giustifica queste eccezioni.

Eredità vincolante?

Ma a parte queste eccezioni, si pone l’altra domanda fondamentale, e cioè: la Chiesa può essere autorizzata a rinunciare a una evidente eredità apostolica?
È un’opzione che viene continuamente presa in considerazione. Alcuni pensano che questa decisione non possa essere presa solo da una parte della chiesa, ma da un Concilio generale. In questo modo, si pensa che pur non coinvolgendo tutti gli ambiti ecclesiastici, almeno per alcuni si potrebbe allentare l’obbligo del celibato, se non addirittura abolirlo. E ciò che oggi appare ancora inopportuno, potrebbe essere realtà domani. Ma se cosi si volesse fare, si dovrebbe riproporre in primo piano l’elemento vincolante delle tradizioni apostoliche. E ancora ci si potrebbe chiedere se, con una decisione presa in sede di Concilio, sarebbe possibile abolire la festa della domenica che, a voler essere pignoli, ha meno fondamenti biblici del celibato.
Infine, per concludere, mi si permetta di avanzare un considerazione proiettata nel futuro: se continua a essere valida la constatazione che ogni riforma ecclesiastica che merita questa definizione scaturisce da una profonda conoscenza della fede ecclesiastica, allora anche l’attuale disputa sul celibato verrà superata da una approfondita conoscenza di ciò che significa essere sacerdote. E se si comprenderà e insegnerà che il sacerdozio non è una funzione di servizio, esercitata in nome della comunità, ma che il sacerdote – in forza dei sacramenti ricevuti – insegna, guida e santifica in persona Christi, tanto più si comprenderà che proprio per questo egli assume anche la forma di vita di Cristo. E un sacerdozio così compreso e vissuto tornerà di nuovo a esercitare una forza di attrazione sull’élite dei giovani.
Per il resto, bisogna prendere atto che il celibato, così come la verginità in nome del Regno dei Cieli, resteranno per chi ha una concezione secolarizzata della vita, sempre qualcosa di irritante. Ma già Gesù a tal proposito diceva: “Chi può capire, capisca”.

sabato 12 luglio 2014

Il celibato ecclesiastico nei primi secoli

Il celibato ecclesiastico nei primi secoli

Un'affermazione generale sull'importanza della posizione di Roma per ogni questione , e perciò anche per quella sul celibato ci viene da Sant.Ireneo il quale , essendo discepolo di San Policarpo , era collegato con la tradizione giovannea , che egli tramandava , come vescovo di Lione dall anno di 178 anche alla Chiesa d'Europa. Se nella sua opera principale "Contro le eresie" diche che la tradizione apostolica viene conservata nella Chiesa di Roma che è stata fondata dagli apostoli Pietro e paolo possiamo ben dire che ciò vale anche per la tradizione della continenza degli ecclesiastici.
Le prime testimonianze esplicita a questo riguardo ci sono state date dai due Papi : Siricio ed Innocenzo I.
Al predecessore del primo , Papa Damaso , il vescovo Himerio di Tarragona aveva posto alcune questioni alle quali solo il successore , cioò Siricio ha dato la risposta .
Alla domanda riguardante l'obbligo della continenza dei chierici maggiori il Papa risponde nella lettera "Directa" del 385 dicendo che i molti sacerdoti e i diaconi che anche dopo l'ordinazione generano dei bambini agiscono contro una legge irrinunciabile che lega i chierici maggiori dall'inizio della Chiesa.
Il loro appello all'antico testamento quando i sacerdoti e i leviti potevano usare il loro matrimonio fuori dal tempo del loro servizion nel Tempio viene confutato dal Nuovo testamenteo nel quale i chiarici maggiori devono prestare il loro sacro servizio ogni giorno e pertando dal giorno della loro ordinazione devono vivere continuamente nella continenza.
Una seconda lettera dello stesso Ponteficie riguardante la stessa questione è quella già menzionata sopra inviata ai vescovi africani nel 386 nella quale vengono comunicate le deliberazioni di un sinodo romano.
Questa lettera è particolarmente illuminante per il cleibato.
Il Papa dice , innanzitutto che i punti trattati nel sinodo non riguardano obblighi nuovi ma sono punti della fede e della disciplina che a causa della pigrizia e dell'inerzia di alcuni sono stati trascurati.
Essi devono essere riattivati trattandosi di disposizioni dei padri apostolici secondo le parole della scrittura
...Dopo alcune altre considerazioni ascetiche , dagli 80 vescovi radunati viene qui per la prima volta per quanto io sappia respinta in occidente la obiezione ancora oggi viva , che voleva provare la continuazione dell'uso del matrimonio con le parole dell'apostolo San Paolo secondo cui deve esser stato sposato una volta sola chi è candidato all'ordinazione sacra.
Ciò non vuol dire , dicono i vescovi , che possa continuare a vivere nella concupiscenza di generare i figli ma ciò è stato detto a favore della continenza futura. Con ciò veniamo edotti ufficialmente che il bisogno di risposarsi oppure il matrimonio con una vedova non danno la garanzia per una sicura continenza futura.

Il successivo Romano pontefice che si è occupato ampiamente della continenza degli ecclesiastici è Innocenzo I (401-417). Una lettera, che veniva attribuita già a Damaso e poi a Siricio è probabilmente sua.
Nella terza delle 16 domande riguarda la castià e purezza dei sacerdoti. Nell'introduzione il Papa si rende conto che "molti vescovi in varie chiese particolari si sono affrettati in umana temerità di cambiare le tradizioni dei padri per cui sono incappati nel buio dell'eresia preferendo così l'onore presso gli uomini ai meriti presso Dio ".
Alla terza questione proposta si dà poi il seguente responso "in primo luogo è stato deciso riguardo ai vescovi sacerdoti e diaconi che debbono partecipare ai sacrifici divini attraverso le mani dei quali viene comunicata la grazia del battesimo e offerto il Corop di Cristo , che vengono costretti non solo da noi ma dalle scritture divine alla castità : ai quali anche i padri hanno ingiunto di conservare la continenza corporale ".
Segue poi una motivazione ampia di tale comandamento soprattutto dalla Sacra Scrittura che oggi non è meno degna di segnalazione. Concludendo si dice che anche solo per la venerazione dovuta alla religione non si deve affidare il mistero di Dio ai disubbidienti.
Tre altre lettere dello stesso Pontefice , ripetono solo i concetti del suo predecessore Siricio....è importante notare che sempre si chiedono qui le sanzioni contro gli impenitenti : essi devono essere allontanati dal ministero clericale...
...Leone Magno scrive a questo riguardo nel 456 al vescovo Rustico di Narbonne : " La legge della continenza è la stessa per i ministri dell'altare (diaconi) come per i sacerdoti e i vescovi . Quando erano ancora laici e lettori era loro permesso di sposarsi e di generare i figli . Ma assurgendo ai gradi suddetti è cominciato per loro il non essere più lecito ciò che lo era prima . Affinchè perciò il matrimonio carnale diventasse un matrimonio spirituale è necessario che le spose di prima non già si mandassero via ma che si avessero come se non l'avessero , affinchè così rimanesse salvo l'amore coniugale ma cessasse allo stempo tempo anche l'uso del matrimonio".....
...Bisogna inoltre dire che già questo Papa ha esteso l'obbligo della continenza dopo l'ordinazione sacra anche ai suddiaconi , cosa che finora non era chiara a causa del dubbio se l'ordine suddiaconale appartenesse o no agli ordni maggiori.

Gregorio Magon (590-604) fa capire , almeno indirettamente nelle sue lettere , che la continenza degli ecclesiastici veniva sostanzialmente osservata nella Chiesa Occidentale....Si impegnava ripetutamente , affinchè la convivenza tra chierici maggiori e donne a ciò non autorizzate rimanesse proibita a tutti i costi e venisse perciò impedita. Siccome le spose non appartenevano normalmente alla categoria delle autorizzate , egli dava con ciò una significativa interpretazione al rispettivo canone 3 del Concilio di Nicea.
Da quanto fin qui detto si può dedurre una prima constatazione assai importante : nella Chiesa Occidentale , ossia in Europa e nelle regioni dell'Africa che appartenevano al Patriarcato di Roma , l'unità di fede era e rimaneva sempre viva , insieme anche all'unità di disciplina , cosa che si manifesta attraverso una comunicazione più o meno intensa ma mai interrotta tra le varie chiese regionali.....Una prova di prim'ordine di questa unità disciplinare è presente proprio nel problema della continenza del clero maggiore , di cui ci stiamo occupando.
Accanto alla prassi conciliare , che opera sin dall'inizio efficacemente per la sua affermazione e conservazione , emerge l'opera orientatrice e la cura conservatrice universale dei Romani Pontefici, cominciando da Papa Siricio.
Se il celibato ecclesiastico , rettamente inteso , si è conservato nella sua coscienza di origine e di tradizione antica in tutta la sua chiareza e nonostante tutte le difficoltà sempre e dappertutto risorgenti , lo dobbiamo senza dubbio alla sollecitudine ininterrotta dei Papi.


Alfons M.Stickler. "Il Celibato Ecclesiastico" Cap III

Papa Francesco , il celibato fu stabilito nel X secolo

QUI una nuova intervista con Eugenio Scalfari , ci spiace dirlo ma il Papa ha preso un abbaglio su celibato sacerdotale .

"Il celibato fu stabilito nel X secolo , 900 anni dopo la morte di Nostro Signore...Il problema esiste , ci vuole tempo ma troverò una soluzione"

Resto perplesso quando leggo simili interpretazioni del celibato , dire che sia stato "fissato" 900 anni dopo la morte di Gesù significa una sola cosa (alle orecchie di un laico) : il celibato è un'invenzione della Chiesa.

La verità è che il celibato ecclesiastico non fu "stabilito" ex novo nel X secolo , ma al contrario nel X secolo venne ribadito che i preti dovevano esser celibi secondo la "tradizione" . Il concilio Lateranense , non definì per la prima volta che i preti dovevano esser celibi ma condannò il "nicolaismo"(concubinato dei preti).

Papa Francesco aggrava l'errore storico parlando delle "Chiese Orientali" : queste chiese hanno il clero uxorato poichè seguono una indicazione di un concilio ortodosso (Trullano) del 691 , in cui si da la possibilità di ordinare uomini sposati.

Canon XIII.
SINCE we know it to be handed down as a rule of the Roman Church that those who are deemed worthy to be advanced to the diaconate or presbyterate should promise no longer to cohabit with their wives, we, preserving the ancient rule and apostolic perfection and order, will that the lawful
marriages of men who are in holy orders be from this time forward firm, by no means dissolving their union with their wives nor depriving them of their mutual intercourse at a convenient time.
Wherefore, if anyone shall have been found worthy to be ordained subdeacon, or deacon, or
presbyter, he is by no means to be prohibited from admittance to such a rank, even if he shall live
with a lawful wife. Nor shall it be demanded of him at the time of his ordination that he promise
to abstain from lawful intercourse with his wife: lest we should affect injuriously marriage
constituted by God and blessed by his presence, as the Gospel saith: “What God hath joined together
let no man put asunder;” and the Apostle saith, “Marriage is honourable and the bed undefiled;”
and again, “Art thou bound to a wife? seek not to be loosed.” But we know, as they who assembled
at Carthage (with a care for the honest life of the clergy) said, that subdeacons, who handle the
Holy Mysteries, and deacons, and presbyters should abstain from their consorts according to their
own course [of ministration]. So that what has been handed down through the Apostles and preserved by ancient custom, we too likewise maintain, knowing that there is a time for all things and especiallyfor fasting and prayer. For it is meet that they who assist at the divine altar should be absolutely continent when they are handling holy things, in order that they may be able to obtain from Godwhat they ask in sincerity.


Ma questo concilio , afferma nei suoi canoni  che "la Chiesa ortodossa permette l'ordinazione di uomini sposati contrariamente alla prassi della "Chiesa Latina" che ha uomini celibi" e questo il concilio trullano lo sosteneva nel 690 , circa 300 anni prima di quel X secolo che Papa Francesco , stabilisce come "Anno Zero"per il celibato sacerdotale.

Non è così , spiace dirlo , specie se si tratta di chiarire le parole di un Papa , il celibato sacerdotale non nasce nel X secolo ma è una prassi antica , tanto antica quanto la Chiesa .
E soprattutto non è un'invenzione della Chiesa , ma un dono che il Signore fa agli uomini che chiama al sacerdozio.

Per chi avesse dei dubbi qui sotto il link ad una pagina in cui si tratta il legame tra Chiesa e celibato nei primi  secoli :

http://celibato-ecclesiastico.blogspot.it/2014/07/il-celibato-ecclesiastico-nei-primi.html