Celibato e obbedienza alla base della scelta del diaconato "transeunte"
Omelia per il Diaconato di Maurizio Bloise
XXXII domenica del T. O.
2Mac 7,1-2.9-14; 2Ts 2,16-3,5; Lc 20,27-38
9 novembre 2013
Non c’è dubbio! Le letture di questa XXXII domenica ci invitano ad alzare lo
sguardo e a gettare cuore e mente oltre questa vita. Al centro della Liturgia della
Parola di oggi infatti vi sono quelli che, con linguaggio tecnico, vengono chiamati i
Novissimi; cioè le verità ultime e tutto ciò che ci attende dopo la morte. Ma – come ci
insegna la prima lettura e come ci conferma la risposta data da Gesù ai Sadducei –
volgere lo sguardo ai Novissimi, credere cioè – come proclamiamo nel Credo - «la
resurrezione dei morti e la vita che verrà» implica decisioni forti e coraggiose. Come
quella presa dai sette fratelli Maccabei, sostenuti dal coraggio e dalla fede della
mamma.
Voglio insistere sui risvolti pratici che accompagnano la fede nella
«Resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà» perché troppo spesso, nella
vita di ogni giorno, la fede non colora d’impegno e di passione vera la vita
quotidiana. Troppo spesso dalla fede non derivano scelte concrete e credibili; troppo
spesso i criteri che ci guidano nelle decisioni e nelle nostre relazioni hanno poco o
niente a che fare con le nostre scelte di fede. E lasciatemelo dire mentre sto per
ordinare un Diacono: può capitare anche di fare una scelta di vita che ha molto o tutto
a che fare con l'esperienza di fede - come la scelta del Sacerdozio - e ritrovarsi poi a
vivere una vita che poco o niente ha a che fare con la scelta di fede. Quanta fatica a
considerare vite di fede e scelte di fede certe vite comode e borghesi, anche tra noi
uomini di Chiesa!
Mi piace insistere su questo legame tra scelte di fede e stile di vita mentre sto
per ordinare diacono Maurizio perché la separazione tra scelta di fede e stile di vita
provoca tanto più scandalo quanto più chiare sono le responsabilità e i compiti che,
nella Chiesa e nella società, ci vengono affidati.
Quanti onori, quanti privilegi vengono promessi ai sette giovani Maccabei e
alla loro madre, come gli onori e i privilegi che erano stati promessi all'anziano
Mardocheo!
La certezza però che c’è una vita dopo la morte e che la qualità della «vita che
verrà» è conseguenza delle scelte che si fanno durante la vita terrena, spingono i sette
giovani e la loro mamma ad affermare con coraggio: «É preferibile morire per mano degli uomini,
quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati..».
A te, Maurizio, che oggi vieni ordinato Diacono rivolgo l’invito ad avere tra i
tuoi santi protettori questi giovani e la loro mamma. Ti invito a invocarli quando forte
si fa sentire la tentazione di considerare, il tuo Diaconato, un ministero “transeunte”.
Sì, lo so, tu sei orientato al Presbiterato. Attento però che il Diaconato che oggi ricevi
non è un ministero "transeunte", nel senso che viene cancellato dall’Ordine
Presbiterale. Non sarai mai un buon prete se non continuerai ad essere
permanentemente Diacono; se il tuo Sacerdozio cioè non lo vivi come servizio.
Il tempo che ti separa dall’Ordinazione presbiterale è tempo in cui tu sei
chiamato a esercitare il ministero del Diaconato. E il Diaconato che vieni chiamato a
esercitare non può avere come spazio solo il presbiterio della Cattedrale o quello di
altre chiese. Il Diaconato, caro Maurizio, sei chiamato a esercitarlo anche - oserei dire
soprattutto - per strada, cercando e conoscendo, a nome della Chiesa e come parte
viva e responsabile di questa nostra Chiesa, i poveri e i loro bisogni.
Dopo la tua ordinazione diaconale la nostra Diocesi deve poter contare – non
su un burocrate del sacro in più – ma su un operatore della carità in più. In una Chiesa
non saranno mai troppi gli operatori della carità!
Ordinandoti Diacono mi aspetto che tu cresca davvero nel servizio, ma non
solo in quello liturgico. Mi aspetto che la tua preghiera sia più intensa e più
prolungata perché se non preghiamo, difficilmente i nostri occhi vedranno i bisogni
degli ultimi; se non preghiamo, difficilmente le nostre orecchie ascolteranno il grido
di chi è senza voce; se non preghiamo, non ci accorgeremo di quanti vengono
calpestati nella loro dignità. Se non preghiamo, ci accorgeremo subito se una
cerimonia liturgica è fatta male, ma ci mancheranno gli strumenti per accorgerci della
sofferenza, non solo materiale, di quanti il buon Dio ci ha affidato.
Fra poco dirai la tua volontà di impegnarti nel celibato e nell'obbedienza.
Voglio ricordare a te, ma anche a me, che solo la preghiera ci può dare la grazia
necessaria per vivere con entusiasmo, anche se non senza fatica, gli impegni derivanti
dal celibato e dall’obbedienza.
Ripeto a te e a quanti, tra i loro impegni hanno preso o prenderanno l'impegno
del celibato: "Non chiamare celibato una beata solitudine, in cui difendi il tuo mondo
e i tuoi comodi. Conosco persone alle quali non importa di niente e di nessuno. Sono
persone che si riempiono la bocca di celibato: nelle loro case e nelle loro sagrestie sta
scritta ovunque la parola "celibato", ma sono case e sagrestie povere di amore.
Conosco case canoniche e chiese dove disturba il pianto di un bambino, il singhiozzo
di una donna o l'eco di una marcia che protesta sulle strade. Ricordiamoci che il
celibato non può essere una stanza vuota, ma la casa che scoppia di amici: quelli che
oggi ci sono e quelli che ieri sono partiti. La fatica del celibe è la fatica di non poter e
dover trattenere nessuno in quella casa per sentirsene padroni".
E solo che vive in maniera faticosa ma feconda il proprio celibato saprà vivere
l'obbedienza; non riducendola né a comoda delega della propria vita e delle proprie
decisioni né a disponibilità condizionata, pronta ad essere ritirata non appena mi
viene chiesto quanto non avevo programmato per me e per i miei comodi.
Un servizio/diaconato permanente, un celibato fecondo e una obbedienza
responsabile possono essere vissuti solo in un contesto di fede, come quella dei sette
fratelli e della loro coraggiosa madre.
Omelia per il Diaconato di Maurizio Bloise
XXXII domenica del T. O.
2Mac 7,1-2.9-14; 2Ts 2,16-3,5; Lc 20,27-38
9 novembre 2013
Non c’è dubbio! Le letture di questa XXXII domenica ci invitano ad alzare lo
sguardo e a gettare cuore e mente oltre questa vita. Al centro della Liturgia della
Parola di oggi infatti vi sono quelli che, con linguaggio tecnico, vengono chiamati i
Novissimi; cioè le verità ultime e tutto ciò che ci attende dopo la morte. Ma – come ci
insegna la prima lettura e come ci conferma la risposta data da Gesù ai Sadducei –
volgere lo sguardo ai Novissimi, credere cioè – come proclamiamo nel Credo - «la
resurrezione dei morti e la vita che verrà» implica decisioni forti e coraggiose. Come
quella presa dai sette fratelli Maccabei, sostenuti dal coraggio e dalla fede della
mamma.
Voglio insistere sui risvolti pratici che accompagnano la fede nella
«Resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà» perché troppo spesso, nella
vita di ogni giorno, la fede non colora d’impegno e di passione vera la vita
quotidiana. Troppo spesso dalla fede non derivano scelte concrete e credibili; troppo
spesso i criteri che ci guidano nelle decisioni e nelle nostre relazioni hanno poco o
niente a che fare con le nostre scelte di fede. E lasciatemelo dire mentre sto per
ordinare un Diacono: può capitare anche di fare una scelta di vita che ha molto o tutto
a che fare con l'esperienza di fede - come la scelta del Sacerdozio - e ritrovarsi poi a
vivere una vita che poco o niente ha a che fare con la scelta di fede. Quanta fatica a
considerare vite di fede e scelte di fede certe vite comode e borghesi, anche tra noi
uomini di Chiesa!
Mi piace insistere su questo legame tra scelte di fede e stile di vita mentre sto
per ordinare diacono Maurizio perché la separazione tra scelta di fede e stile di vita
provoca tanto più scandalo quanto più chiare sono le responsabilità e i compiti che,
nella Chiesa e nella società, ci vengono affidati.
Quanti onori, quanti privilegi vengono promessi ai sette giovani Maccabei e
alla loro madre, come gli onori e i privilegi che erano stati promessi all'anziano
Mardocheo!
La certezza però che c’è una vita dopo la morte e che la qualità della «vita che
verrà» è conseguenza delle scelte che si fanno durante la vita terrena, spingono i sette
giovani e la loro mamma ad affermare con coraggio: «É preferibile morire per mano degli uomini,
quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati..».
A te, Maurizio, che oggi vieni ordinato Diacono rivolgo l’invito ad avere tra i
tuoi santi protettori questi giovani e la loro mamma. Ti invito a invocarli quando forte
si fa sentire la tentazione di considerare, il tuo Diaconato, un ministero “transeunte”.
Sì, lo so, tu sei orientato al Presbiterato. Attento però che il Diaconato che oggi ricevi
non è un ministero "transeunte", nel senso che viene cancellato dall’Ordine
Presbiterale. Non sarai mai un buon prete se non continuerai ad essere
permanentemente Diacono; se il tuo Sacerdozio cioè non lo vivi come servizio.
Il tempo che ti separa dall’Ordinazione presbiterale è tempo in cui tu sei
chiamato a esercitare il ministero del Diaconato. E il Diaconato che vieni chiamato a
esercitare non può avere come spazio solo il presbiterio della Cattedrale o quello di
altre chiese. Il Diaconato, caro Maurizio, sei chiamato a esercitarlo anche - oserei dire
soprattutto - per strada, cercando e conoscendo, a nome della Chiesa e come parte
viva e responsabile di questa nostra Chiesa, i poveri e i loro bisogni.
Dopo la tua ordinazione diaconale la nostra Diocesi deve poter contare – non
su un burocrate del sacro in più – ma su un operatore della carità in più. In una Chiesa
non saranno mai troppi gli operatori della carità!
Ordinandoti Diacono mi aspetto che tu cresca davvero nel servizio, ma non
solo in quello liturgico. Mi aspetto che la tua preghiera sia più intensa e più
prolungata perché se non preghiamo, difficilmente i nostri occhi vedranno i bisogni
degli ultimi; se non preghiamo, difficilmente le nostre orecchie ascolteranno il grido
di chi è senza voce; se non preghiamo, non ci accorgeremo di quanti vengono
calpestati nella loro dignità. Se non preghiamo, ci accorgeremo subito se una
cerimonia liturgica è fatta male, ma ci mancheranno gli strumenti per accorgerci della
sofferenza, non solo materiale, di quanti il buon Dio ci ha affidato.
Fra poco dirai la tua volontà di impegnarti nel celibato e nell'obbedienza.
Voglio ricordare a te, ma anche a me, che solo la preghiera ci può dare la grazia
necessaria per vivere con entusiasmo, anche se non senza fatica, gli impegni derivanti
dal celibato e dall’obbedienza.
Ripeto a te e a quanti, tra i loro impegni hanno preso o prenderanno l'impegno
del celibato: "Non chiamare celibato una beata solitudine, in cui difendi il tuo mondo
e i tuoi comodi. Conosco persone alle quali non importa di niente e di nessuno. Sono
persone che si riempiono la bocca di celibato: nelle loro case e nelle loro sagrestie sta
scritta ovunque la parola "celibato", ma sono case e sagrestie povere di amore.
Conosco case canoniche e chiese dove disturba il pianto di un bambino, il singhiozzo
di una donna o l'eco di una marcia che protesta sulle strade. Ricordiamoci che il
celibato non può essere una stanza vuota, ma la casa che scoppia di amici: quelli che
oggi ci sono e quelli che ieri sono partiti. La fatica del celibe è la fatica di non poter e
dover trattenere nessuno in quella casa per sentirsene padroni".
E solo che vive in maniera faticosa ma feconda il proprio celibato saprà vivere
l'obbedienza; non riducendola né a comoda delega della propria vita e delle proprie
decisioni né a disponibilità condizionata, pronta ad essere ritirata non appena mi
viene chiesto quanto non avevo programmato per me e per i miei comodi.
Un servizio/diaconato permanente, un celibato fecondo e una obbedienza
responsabile possono essere vissuti solo in un contesto di fede, come quella dei sette
fratelli e della loro coraggiosa madre.