Articoli , pensieri e riflessioni sul celibato sacerdotale (o celibato ecclesiastico) e sulla castità come consiglio evangelico.
To contact the "blogger of Celibato Sacerdotale" write an email to dottaignoranza@gmail.com

Cerca nel blog

domenica 27 gennaio 2013

Cardinal Hummes sul celibato sacerdotale


Entrando nel XL anniversario della pubblicazione dell’Enciclica "Sacerdotalis Caelibatus" di Sua Santità Paolo VI, la Congregazione per il Clero crede opportuno ricordare l’insegnamento magisteriale di questo importante documento pontificio. Davvero, il celibato sacerdotale è un dono prezioso di Cristo alla sua Chiesa, un dono che bisogna sempre di nuovo meditare e rinvigorire, specialmente nel mondo odierno profondamente secolarizzato. (Card. Claudio Hummes - Vaticano)
Introduzione

Infatti gli studiosi indicano che le origini del celibato sacerdotale ci riportano ai tempi apostolici. Scrive Ignace de la Potterie: “C’è un accordo generale tra gli studiosi per dire che l’obbligo del celibato o almeno della continenza è diventato legge canonica fin dal IV secolo. [...] Ma è importante osservare che i legislatori del IV o V secolo affermavano che questa disposizione canonica era fondata su una tradizione apostolica. Diceva per esempio il Concilio di Cartagine (del 390): ‘Conviene che quelli che sono al servizio dei divini misteri siano perfettamente continenti (continentes esse in omnibus) affinché ciò che hanno insegnato gli apostoli e ha mantenuto l’antichità stessa, lo osserviamo anche noi’”[1]. Nello stesso senso, A.M.Stickler parla di argomenti biblici in favore del celibato d’ispirazione apostolica[2].

Sviluppo storico

Ininterrottamente il Magistero solenne della Chiesa ribadisce le disposizioni sul celibato ecclesiastico. Il Sinodo di Elvira (300-303?) al Canone 27 prescrive: “Un Vescovo, come qualsiasi altro chierico, abbia con sé solo o una sorella o una vergine consacrata; si è stabilito che non debba assolutamente avere un’estranea”; e al canone 33: “Si è deciso complessivamente il seguente divieto ai Vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, come a tutti i chierici che esercitano un ministero: si astengano dalle loro mogli e non generino figli; chi lo avrà fatto dovrà essere allontanato dallo stato clericale”[3].

Anche Papa Siricio (384-399), nella lettera al Vescovo Imerio di Tarragona del 10 febbraio 385, afferma: “Il Signore Gesù […] volle che la figura della Chiesa, di cui è lo sposo, emani lo splendore della castità […] dalla legge indissolubile di queste disposizioni siamo legati noi tutti sacerdoti […] affinché dal giorno della nostra ordinazione consegniamo sia i nostri cuori sia i nostri corpi alla sobrietà e alla pudicizia, per piacere al Signore nostro Dio nei sacrifici che ogni giorno offriamo”[4].

Nel Concilio Ecumenico Lateranense I del 1123, al Canone 3, leggiamo: “Proibiamo nel modo più assoluto ai sacerdoti, diaconi, suddiaconi, di vivere con le concubine o con le mogli e di coabitare con donne diverse da quelle con cui il Concilio di Nicea (325) ha permesso di vivere”[5]. Così pure nella sessione XXIV del Concilio di Trento, al Canone 9, si ribadisce l’assoluta impossibilità di contrarre matrimonio per i chierici costituiti negli ordini sacri o i religiosi che hanno fatto professione solenne di castità; con essa la nullità del matrimonio stesso, unitamente al dovere di domandare a Dio il dono della castità con retta intenzione[6].

In tempi più recenti il Concilio Ecumenico Vaticano II ha ribadito nella dichiarazione Presbyterorum ordinis[7], lo stretto legame tra celibato e Regno di Dio, vedendo nel primo un segno che annuncia in modo radioso il secondo, un inizio di vita nuova, al cui servizio il ministro della Chiesa viene consacrato.

Con l’enciclica del 24 giugno 1967, Paolo VI mantenne una promessa fatta ai Padri conciliari due anni prima. Egli esamina le obiezioni sollevate nei confronti della disciplina del celibato e, ponendo l’accento sui suoi fondamenti cristologici e facendo appello alla storia e a ciò che i documenti dei primi secoli ci insegnano a proposito delle origini del celibato-continenza, ne conferma pienamente il valore.

Il Sinodo dei Vescovi del 1971, sia nello schema presinodale Ministerium presbyterorum (15 febbraio), sia nel documento finale Ultimis temporibus (30 novembre), afferma la necessità di conservare il celibato nella Chiesa latina, illuminandone il fondamento, la convergenza dei motivi e le condizioni che lo favoriscono[8].

La nuova codificazione della Chiesa latina del 1983 ribadisce la tradizione di sempre: “I chierici sono tenuti all’obbligo di osservare la continenza perfetta e perpetua per il Regno dei cieli, perciò sono vincolati al celibato, che è un dono particolare di Dio mediante il quale i ministri sacri possono aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso e sono messi in grado di dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini”[9].

Sulla stessa linea si muove il Sinodo del 1990, dal quale è scaturita l’esortazione apostolica del Servo di Dio il Papa Giovanni Paolo II Pastores dabo vobis, nella quale il Pontefice presenta il celibato come un’esigenza di radicalismo evangelico, che favorisce in modo speciale lo stile di vita sponsale e che scaturisce dalla configurazione del sacerdote a Gesù Cristo, attraverso il sacramento dell’Ordine[10].

Il Catechismo della Chiesa cattolica, pubblicato nel 1992 e che raccoglie i primi frutti del grande evento del Concilio Ecumenico Vaticano II, ribadisce la medesima dottrina: “Tutti i ministri ordinati nella Chiesa latina, ad eccezione dei diaconi permanenti, sono normalmente scelti fra gli uomini credenti che vivono da celibi e che intendono conservare il celibato per il Regno dei Cieli”[11].

Nello stesso recentissimo Sinodo sull’Eucaristia, secondo la pubblicazione provvisoria, ufficiosa e non ufficiale delle sue proposizioni finali, concessa dal papa Benedetto XVI, nella proposizione n. 11, sulla scarsità di clero in alcune parti del mondo e sulla “fame eucaristica” del popolo di Dio, si riconosce “l’importanza del dono inestimabile del celibato ecclesiastico nella prassi della Chiesa latina”. Con riferimento al Magistero, particolarmente al Concilio Ecumenico Vaticano II e agli ultimi pontefici, i padri hanno chiesto di illustrare adeguatamente le ragioni del rapporto tra celibato e ordinazione sacerdotale, nel pieno rispetto della tradizione delle Chiese Orientali. Alcuni hanno fatto riferimento alla questione dei viri probati, ma l’ipotesi è stata valutata come una strada da non percorrere.

Solo lo scorso 16 novembre 2006 Papa Benedetto XVI ha presieduto nel Palazzo apostolico una delle periodiche riunioni dei Capi Dicastero della Curia romana. In quella sede è stato riaffermato il valore della scelta del celibato sacerdotale secondo l’ininterrotta tradizione cattolica ed è stata ribadita l’esigenza di una solida formazione umana e cristiana sia per i seminaristi sia per i sacerdoti già ordinati.

Le Ragioni del Sacro Celibato

Nell’enciclica "Sacerdotalis Caelibatus", Paolo VI presenta inizialmente la situazione in cui si trovava in quel tempo la questione del celibato sacerdotale, sia sotto il punto di vista del suo apprezzamento sia delle obiezioni. Le sue prime parole sono determinanti e ancora attuali: "II celibato sacerdotale, che la Chiesa custodisce da secoli come fulgida gemma, conserva tutto il suo valore anche nel nostro tempo, caratterizzato da una profonda trasformazione di mentalità e di strutture"[12]. Paolo VI rivela quanto egli stesso meditò, interrogandosi sull’argomento per poter rispondere alle obiezioni, e conclude: "Noi dunque riteniamo che la vigente legge del sacro celibato debba ancor oggi, e fermamente, accompagnarsi al ministero ecclesiastico; essa deve sorreggere il ministro nella sua scelta esclusiva, perenne e totale dell’unico e sommo amore di Cristo e della Chiesa, e deve qualificare il suo stato di vita, sia nella comunità dei fedeli, che in quella profana"[13].

"Certo", aggiunge il Papa, "come ha dichiarato il sacro Concilio ecumenico Vaticano II, la verginità non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, come risulta dalla prassi della Chiesa primitiva e dalla tradizione delle Chiese Orientali (Presb.Ord., 16), ma lo stesso sacro Concilio non ha dubitato di confermare solennemente l’antica, sacra vigente legge del celibato sacerdotale, esponendo anche i motivi che la giustificano per quanti sanno apprezzare in spirito di fede e con intimo e generoso fervore i doni divini"[14].

È vero. Il celibato è un dono che Cristo offre ai chiamati al sacerdozio. Questo dono deve essere accolto con amore, gioia e gratitudine. Così, sarà sorgente di felicità e di santità. Le ragioni del sacro celibato, apportate da Paolo VI, sono tre: il suo significato cristologico, il significato ecclesiologico e quello escatologico. Cominciamo dal significato cristologico. Cristo è novità. Realizza una nuova creazione. Il suo sacerdozio è nuovo. Egli rinnova tutte le cose. Gesù, il Figlio unigenito del Padre, inviato nel mondo, “si fece uomo affinché l’umanità , soggetta al peccato e alla morte, venisse rigenerata e, mediante una nascita nuova, entrasse nel Regno dei cieli. Consacratosi tutto alla volontà del Padre, Gesù compì mediante il suo mistero pasquale questa nuova creazione, introducendo nel tempo e nel mondo una forma nuova, sublime, divina di vita che trasforma la stessa condizione terrena dell’umanità”[15].

Lo stesso matrimonio naturale, benedetto da Dio sin dalla creazione, ma ferito dal peccato, fu rinnovato da Cristo, che “lo ha elevato alla dignità di sacramento e di misterioso segno della sua unione con la Chiesa. [...] Ma Cristo, mediatore di un più eccellente testamento (cfr. Eb 8,6), ha aperto anche un nuovo cammino, in cui la creatura umana, aderendo totalmente e direttamente al Signore, preoccupata soltanto di Lui e delle Sue cose, manifesta in maniera chiara e compiuta la realtà profondamente innovatrice del Nuovo Testamento”[16].

Questa novità, questo nuovo cammino, è la vita nella verginità, che Gesù stesso ha vissuto, in armonia col suo essere mediatore tra il cielo e la terra, tra il Padre e il genere umano. “In piena armonia con questa missione, Cristo rimase per tutta la vita nello stato di verginità, che significa la sua totale dedizione al servizio di Dio e degli uomini”[17]. Servizio di Dio e degli uomini vuol dire amore totale e senza riserve, che ha segnato il vivere di Gesù tra noi. Verginità per amore del Regno di Dio!

Ora, Cristo, chiamando i suoi sacerdoti per essere ministri della salvezza, cioè, della nuova creazione, li chiama ad essere e a vivere in novità di vita, uniti e simili a Lui nella forma più perfetta possibile. Da ciò scaturisce il dono del sacro celibato, come configurazione più piena con il Signore Gesù e profezia della nuova creazione. I suoi apostoli sono stati da Lui chiamati “amici”. Li ha chiamati a seguirLo molto da vicino, in tutto, fino alla croce. E la croce li porterà alla risurrezione, alla nuova creazione compiuta. Perciò sappiamo che seguirLo con fedeltà nella verginità, che include una immolazione, ci condurrà alla felicità. Dio non chiama nessuno all’infelicità, ma alla felicità. La felicità, tuttavia, si coniuga sempre con la fedeltà. Lo ha detto il compianto papa Giovanni Paolo II agli sposi riuniti con Lui nel II Incontro Mondiale delle Famiglie, a Rio de Janeiro.

Così emerge il tema del significato escatologico del celibato, in quanto segno e profezia della nuova creazione, ossia, del Regno definitivo di Dio nella Parusia, quando tutti risorgeremo dalla morte. “Di questo Regno, la Chiesa costituisce quaggiù il germe e l’inizio”, come ci insegna il Concilio Vaticano II[18]. Di questi “tempi ultimi”, la verginità, vissuta per amore del Regno di Dio, costituisce un segno particolare, poiché il Signore ha annunziato che "alla risurrezione [...] non si prende moglie né marito, ma si è come angeli di Dio in cielo”[19].

In un mondo come il nostro, mondo dello spettacolo e dei piaceri facili, profondamente affascinato dalle cose terrene, specialmente dal progresso delle scienze e delle tecnologie - ricordiamo le scienze biologiche e le bio­tecnologie - l’annunzio di un al di là, ossia di un mondo futuro, di una parusia, come avvenimento definitivo di una nuova creazione, è determinante e allo stesso tempo libera dall’ambiguità delle aporie, dei frastuoni, delle sofferenze e contraddizioni, rispetto ai veri beni ed alle nuove profonde conoscenze che il progresso umano attuale porta con sè.

Finalmente, il significato ecclesiologico del celibato ci conduce più direttamente all’attività pastorale del sacerdote. Afferma l’Enciclica: “La verginità consacrata dei sacri ministri manifesta infatti l’amore verginale di Cristo per la Chiesa e la verginale e soprannaturale fecondità di questo connubio”[20]. Simile a Cristo e in Cristo, il sacerdote si sposa misticamente colla Chiesa, ama la Chiesa con amore esclusivo. Così, dedicandosi totalmente alle cose di Cristo e del suo Corpo Mistico, il sacerdote gode di una ampia libertà spirituale per mettersi al servizio amorevole e totale a tutti gli uomini, senza distinzione.

“Così il sacerdote, nella quotidiana morte a tutto se stesso, nella rinunzia all’amore legittimo di una famiglia propria per amore di Cristo e del suo Regno, troverà la gloria di una vita in Cristo pienissima e feconda, perché come Lui e in Lui egli ama e si dà a tutti i figli di Dio”[21].
L’Enciclica aggiunge ancora come il celibato faccia crescere l’idoneità del sacerdote all’ascolto della Parola di Dio ed alla preghiera, così come lo abiliti a deporre sull’altare tutta intera la propria vita, che reca i segni del sacrificio[22].

Valore della castità e del celibato

Il celibato, prima di essere una disposizione canonica, è un dono di Dio alla sua Chiesa, è una questione legata alla dedizione totale al Signore. Pur nella distinzione tra la disciplina celibataria dei secolari e l’esperienza religiosa della consacrazione e dell’emissione dei voti, è fuori dubbio che non v’è altra possibile interpretazione e giustificazione del celibato ecclesiastico al di fuori della totale dedizione al Signore, in un rapporto che sia, anche dal punto di vista affettivo, esclusivo; questo presuppone un forte rapporto personale e comunitario con Cristo, che trasforma i cuori dei Suoi discepoli.

La scelta celibataria della Chiesa cattolica di rito latino si è sviluppata, sin dai tempi apostolici, proprio nella linea del rapporto del sacerdote con il suo Signore, avendo come grande icona il “Mi ami tu più di costoro?”[23] che Gesù Risorto rivolge a Pietro. Le ragioni cristologiche, ecclesiologiche ed escatologiche del celibato, tutte radicate nella speciale comunione con Cristo a cui il sacerdote è chiamato, sono pertanto declinabili in diversi modi secondo quanto affermato autorevolmente dalla Sacerdotalis caelibatus.

Innanzitutto il celibato è “segno e stimolo della carità pastorale”[24]. Essa è il criterio supremo per giudicare la vita cristiana in tutti i suoi aspetti; il celibato è una via dell’amore, anche se lo stesso Gesù, come riferisce il Vangelo secondo Matteo, afferma che non tutti possono comprendere questa realtà: “Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso”[25]. Una tale carità si declina nel classico duplice aspetto di amore verso Dio e verso i fratelli: “Con la verginità o il celibato osservato per il Regno dei cieli i presbiteri si consacrano a Dio con un nuovo ed eccelso titolo, aderiscono più facilmente a Lui con cuore non diviso”[26]. San Paolo, in un passo al quale qui si allude, presenta il celibato e la verginità come “via per piacere a Dio” senza divisioni[27]: in altre parole, una “via dell’amore” che certamente presuppone una vocazione particolare, e in tal senso è un carisma, e che è in se stessa eccellente sia per il cristiano sia per il sacerdote.

Il radicale amore verso Dio diviene attraverso la carità pastorale amore verso i fratelli. Nella Presbyterorum Ordinis leggiamo che i sacerdoti “si dedicano più liberamente a lui e per lui al servizio di Dio e degli uomini, servono con maggiore efficacia il suo Regno e la sua opera di rigenerazione divina e in tal modo si dispongono meglio a ricevere una più ampia paternità in Cristo”[28]. L’esperienza comune conferma come sia più semplice aprire il cuore ai fratelli pienamente e senza riserve per chi non è legato da altri affetti, per quanto legittimi e santi, oltre a quello di Cristo.

Il celibato è l’esempio che Cristo stesso ci ha lasciato. Egli ha voluto essere celibe. Spiega ancora l’Enciclica: “Cristo rimase per tutta la sua vita nello stato di verginità, il che significa la sua totale dedizione al servizio di Dio e degli uomini. Questa profonda connessione tra la verginità e il sacerdozio di Cristo si riflette in quelli che hanno la sorte di partecipare alla dignità e alla missione del Mediatore e Sacerdote eterno, e tale partecipazione sarà tanto più perfetta, quanto più il sacro ministero sarà libero da vincoli di carne e di sangue”[29].

L’esistenza storica di Gesù Cristo è il segno più evidente che la castità volontariamente assunta per Dio è una vocazione solidamente fondata sia sul piano cristiano sia su quello della comune ragionevolezza umana. Se la comune vita cristiana non può dirsi legittimamente tale escludendo la dimensione della Croce, quanto più l’esistenza sacerdotale sarebbe inintelligibile prescindendo dall’ottica del Crocifisso. La sofferenza, talvolta la fatica e la noia, perfino lo scacco, hanno il loro posto nell’esistenza di un sacerdote, che, tuttavia, non è da essi ultimamente determinata.

Scegliendo di seguire Cristo, fin dal primo momento, ci si impegna ad andare con Lui al Calvario, memori che è l’assunzione della propria croce l’elemento che qualifica la radicalità della sequela. Infine, come detto, il celibato è un segno escatologico. Nella Chiesa, fin d’ora è presente il Regno futuro: essa non solo lo annuncia, ma lo realizza sacramentalmente contribuendo alla “creazione nuova”, finché la Sua gloria non si manifesti pienamente. Mentre il sacramento del matrimonio radica la Chiesa nel presente, immergendola totalmente nell’ordine terreno che diviene così esso stesso possibile luogo di santificazione, la verginità rimanda immediatamente al futuro, a quell’integra perfezione del creato che sarà portata a compimento pieno solo alla fine dei tempi.

Mezzi per essere fedeli al celibato

La bimillenaria sapienza della Chiesa, esperta di umanità, ha nel tempo costantemente individuato alcuni elementi fondamentali ed irrinunciabili per favorire la fedeltà dei suoi figli al carisma soprannaturale del celibato. Tra essi emerge, anche nel recente magistero, l’importanza della formazione spirituale del sacerdote chiamato ad essere “testimone dell’Assoluto”. Afferma la Pastores dabo vobis: “Formarsi al sacerdozio significa abituarsi a dare una risposta personale alla questione fondamentale di Cristo: “Mi ami tu?”. La risposta per il futuro sacerdote non può che essere il dono totale della propria vita”[30]. In tal senso sono assolutamente fondamentali gli anni della formazione sia quella remota, vissuta in famiglia, sia soprattutto quella prossima, negli anni del Seminario, vera scuola d’amore, nella quale, come la comunità apostolica, i giovani seminaristi si stringono attorno a Gesù in attesa del dono dello Spirito per la missione. “La relazione del sacerdote con Gesù Cristo e in Lui con la Sua Chiesa si situa nell’essere stesso del sacerdote e nella sua consacrazione-unzione sacramentale e nel suo agire, ossia nella sua missione o ministero”[31]. Il sacerdozio non è altro che un “vivere intimamente uniti a Lui”[32], in una relazione di comunione intima che è descritta “con la sfumatura dell’amicizia”[33]. La vita del sacerdote è, in fondo, quella forma di esistenza che sarebbe inconcepibile se non ci fosse Cristo. Proprio in questo consiste la forza della Sua testimonianza: la verginità per il Regno di Dio è un dato reale, esiste, perché esiste Cristo che la rende possibile.

L’amore per il Signore è autentico quando tende ad essere totale: innamorarsi di Cristo vuol dire avere una conoscenza profonda di Lui, una frequentazione della Sua persona, una immedesimazione e una assimilazione del Suo pensiero e, finalmente, un accoglimento senza riserve delle esigenze radicali del Vangelo. Si può essere testimoni di Dio solo se si fa profonda esperienza di Cristo; dal rapporto con il Signore dipende l’intera esistenza sacerdotale, la qualità della sua esperienza di martyria, della sua testimonianza.

Testimone dell’Assoluto è solo chi ha veramente Gesù per amico e Signore, chi gode della Sua comunione. Cristo non è soltanto oggetto di riflessione, tesi teologica o ricordo storico; Egli è il Signore presente, è vivo perché Risorto e noi siamo vivi solo nella misura in cui partecipiamo sempre più profondamente della Sua vita. Su questa fede esplicita si fonda l’intera esistenza sacerdotale. Perciò l’Enciclica dice: “Il sacerdote si applichi innanzitutto a coltivare con tutto l’amore che la grazia gli ispira la sua intimità con Cristo, esplorandone l’inesorabile e beatificante mistero; acquisti un senso sempre più profondo del mistero della Chiesa, al di fuori del quale il suo stato di vita rischierebbe di apparirgli inconsistente e incongruo”[34].

Oltre alla formazione e all’amore per Cristo, elemento essenziale per custodire il celibato è la passione per il Regno di Dio, che significa la capacità di lavorare alacremente e senza risparmiarsi perché Cristo sia conosciuto, amato e seguito. Come il contadino che, trovata la perla preziosa, vende ogni cosa per acquistare il campo, così chi trova Cristo e spende l’intera esistenza con Lui e per Lui, non può fare a meno di vivere lavorando perché altri Lo possano incontrare. Senza questa chiara prospettiva, qualunque “sussulto missionario” è destinato al fallimento, le metodologie si trasformano in tecniche di conservazione di un apparato, e persino le preghiere potranno divenire tecniche di meditazione e di contatto col sacro, nelle quali si dissolvono sia l’io umano sia il Tu di Dio.

Un’occupazione fondamentale e necessaria del sacerdote, come esigenza e come compito, è la preghiera che, al contraio, è insostituibile nella vita cristiana e per conseguenza in quella sacerdotale. Ad essa va riservata un’attenzione particolare: la celebrazione eucaristica, l’Ufficio divino, la confessione frequente, il rapporto affettuoso con Maria Santissima, gli Esercizi Spirituali, la recita quotidiana del Santo Rosario, sono alcuni dei segni spirituali di un amore che, se mancasse, rischierebbe inesorabilmente la sostituzione con i surrogati, spesso vili, dell’immagine, della carriera, del danaro, della sessualità.

Il sacerdote è uomo di Dio perché chiamato da Dio ad esserlo e vive questa personale identità nell’appartenenza esclusiva al suo Signore, che si documenta anche nella scelta celibataria. È uomo di Dio perché di Lui vive, a Lui parla, con Lui discerne e decide, in filiale obbedienza, i passi della propria cristiana esistenza. Quanto più i sacerdoti saranno radicalmente uomini di Dio, attraverso un’esistenza totalmente teocentrica, come sottolineato dal Santo Padre Benedetto XVI negli auguri natalizi alla Curia romana lo scorso 22 dicembre 2006, tanto più efficace e feconda sarà la loro testimonianza e ricco di frutti di conversione il loro ministero. Non c’è opposizione tra la fedeltà a Dio e la fedeltà all’uomo, ma, al contrario, la prima è condizione di possibilità della seconda.

Conclusione: una vocazione santa

La Pastores dabo vobis, parlando della vocazione del prete alla santità, dopo aver sottolineato l’importanza del rapporto personale con Cristo, esprime un’altra esigenza: il sacerdote, chiamato alla missione dell’annuncio, si vede affidare la Buona Novella per farne dono a tutti. Egli tuttavia è chiamato ad accogliere il Vangelo prima di tutto come dono offerto alla sua esistenza, alla sua persona e come evento salvifico che lo impegna ad una vita santa.

In questa prospettiva Giovanni Paolo II ha parlato del radicalismo evangelico che deve caratterizzare la santità del sacerdote; è possibile pertanto indicare nei consigli evangelici tradizionalmente proposti dalla Chiesa e vissuti negli stati di vita consacrata gli itinerari di un radicalismo vitale a cui anche, a modo suo, il sacerdote è chiamato ad essere fedele. Afferma l’esortazione: “Espressione privilegiata del radicalismo sono i diversi «consigli evangelici», che Gesù propone nel Discorso della Montagna e tra questi i consigli, intimamente coordinati tra loro, d’obbedienza, castità e povertà: il sacerdote è chiamato a viverli secondo quelle modalità, e più profondamente secondo quelle finalità e quel significato originale, che derivano dall’identità propria del presbitero e la esprimono”[35].

Ed ancora, riprendendo la dimensione ontologica su cui il radicalismo evangelico è fondato: “Lo Spirito, consacrando il sacerdote e configurandolo a Gesù Cristo Capo e Pastore, crea un legame che, situato nell’essere stesso del sacerdote, chiede di essere assimilato e vissuto in maniera personale, cioè cosciente e libera, mediante una comunione di vita e di amore sempre più ricca e una condivisione sempre più ampia e radicale dei sentimenti e degli atteggiamenti di Gesù Cristo. In questo legame tra il Signore Gesù e il sacerdote, legame ontologico e psicologico, sacramentale e morale, sta il fondamento e nello stesso tempo la forza per quella «vita secondo lo Spirito» e per quel «radicalismo evangelico» al quale è chiamato ogni sacerdote e che viene favorito dalla formazione permanente nel suo aspetto spirituale”[36].

La nuzialità del celibato ecclesiastico, proprio per questo rapporto tra Cristo e la Chiesa che il sacerdote è chiamato ad interpretare e vivere, dovrebbe dilatarne lo spirito, illuminando la sua vita, accendendo il suo cuore. Il celibato deve essere una oblazione felice, un bisogno di vivere con Cristo perché Egli riversi nel sacerdote quelle effusioni della sua bontà e del suo amore che sono ineffabilmente piene e perfette. Illuminanti, a questo proposito, sono le parole del Santo Padre Benedetto XVI: “Il vero fondamento del celibato può essere racchiuso solo nella frase: Dominus pars (mea) – Tu sei la mia terra. Può essere solo teocentrico. Non può significare il rimanere privi di amore, ma deve significare il lasciarsi prendere dalla passione per Dio, ed imparare poi grazie ad un più intimo stare con Lui a servire pure gli uomini. Il celibato deve essere una testimonianza di fede: la fede in Dio diventa concreta in quella forma di vita che solo a partire da Dio ha un senso. Poggiare la vita su di Lui, rinunciando al matrimonio ed alla famiglia, significa che io accolgo e sperimento Dio come realtà e perciò posso portarlo agli uomini”[37].

Card. Claudio Hummes, OFM
Prefetto della Congregazione per il Clero.