Articoli , pensieri e riflessioni sul celibato sacerdotale (o celibato ecclesiastico) e sulla castità come consiglio evangelico.
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giovedì 16 maggio 2013

Cardinal George Pell contro l'abolizione del celibato ecclesiastico

 12 ottobre 2005

S.Em.R. Card. George PELL, Arcivescovo di Sydney (AUSTRALIA)

Molti Padri sinodali hanno parlato delle difficoltà incontrate dalla Chiesa in tutto il mondo. Alcune sono causate dai nostri errori.
Il Concilio Vaticano Secondo ha portato grandi benedizioni e progressi sostanziali, ad esempio la continua espansione missionaria e i nuovi movimenti e comunità. Ma è stato anche seguito da confusione, un certo declino, soprattutto in occidente, e sacche di defezioni. Le buone intenzioni non bastano.
Due settori in declino in Oceania sono rappresentati dal numero delle vocazioni sacerdotali in Australia e Nuova Zelanda (ma non in tutta l’Oceania) e dall’evidente confusione nella proliferazione di ministri dell’Eucaristia.
I miei suggerimenti a quest Sinodo su come affrontare queste “ombre” presumono il mantenimento della Chiesa latina di tradizione antica e la disciplina del celibato obbligatorio per il clero diocesano e gli ordini religiosi. Perdere tale tradizione adesso rappresenterebbe un errore gravissimo, che genererebbe confusione nelle zone di missione e non rafforzerebbe la vitalità spirituale del Primo mondo. Rappresenterebbe un distacco dalla pratica del Signore stesso, porterebbe gravi svantaggi pratici all’azione della Chiesa - vale a dire finanziari - e indebolirebbe il significato di “segno” del sacerdozio; indebolirebbe inoltre la testimonianza al sacrificio amorevole e alla realtà dei Novissimi, e il premio in cielo.
Dobbiamo ricordare la situazione della Chiesa 500 anni fa, prima della Riforma. Era un piccola, debole comunità separata dall’Oriente. L’enorme espansione da allora e la purificazione dei vertici della Chiesa (imperfetta ma sostanziale) sono avvenute soprattutto grazie alle vite di suore, frati e sacerdoti celibi. I recenti scandali sessuali non hanno scalfito questi successi.
Chiedo al Sinodo di mettere a punto un’ulteriore lista di suggerimenti e criteri per regolare il servizio all’Eucaristia, soprattutto la domenica.
“Liturgie in attesa di sacerdote” sarebbe meglio di “Liturgie senza sacerdote”. Non esiste qualcosa come “liturgia condotta da laici”, perché i laici possono condurre soltanto le preghiere devozionali e le para-liturgie. Il suggerimento dell’Arcivescovo Paolo di Haiti, vale a dire di usare l’appellativo “ministri straordinari della Santa Comunione” è migliore di “ministri dell’Eucaristia”.
Vorrei appoggiare la proposta di redigere una lista di omelie a tema per l’anno liturgico. Uno di questi temi dovrebbe essere la natura dell’Eucaristia e il ruolo essenziale del sacerdozio ministeriale.
I servizi eucaristici o le liturgie della Parola, quando i sacerdoti sono disponibili, non dovrebbero essere delegati. Queste inutili sostituzioni di persona spesso non sono motivate dalla fame del Pane di Vita, ma dall’ignoranza e dalla confusione, se non addirittura dall’ostilità al ministero sacerdotale e ai sacramenti.
Fino a che punto le celebrazioni regolari dei servizi eucaristici, una domenica dopo l’altra, rappresentano un autentico sviluppo, o non una distorsione, una protestantizzazione che rischia di gettare in confusione perfino chi va regolarmente a Messa?