Considerazioni per conservare la castità
335 Siano pure spiegate le
prescrizioni che hanno forza di precetto. I fedeli devono essere ammaestrati ed
esortati a rispettare con ogni cura la pudicizia e la continenza, a conservarsi
mondi da ogni contaminazione della carne e dello spirito, attuando la
santificazione nel timore di Dio (2 Cor 7,1). Si dica loro che, sebbene la
virtù della castità debba maggiormente brillare in quella categoria di persone
che coltiva il magnifico e pressoché divino proposito della verginità, pure
essa conviene anche a coloro che menano vita celibataria o, congiunti in
matrimonio, si mantengono mondi dalla libidine vietata.
Le molte sentenze dei Padri,
con cui siamo ammaestrati a dominare le passioni sensuali e a frenare l'istinto
passionale, saranno dal parroco accuratamente esposte al popolo, con una
trattazione diligente e costante. Parte di esse riguarda il pensiero, parte
l'azione.
Il rimedio che fa leva
sull'intelligenza tende a farci comprendere quanto grandi siano la turpitudine
e il pericolo di questo peccato. In base a simile apprezzamento, più viva
arderà in noi l'avversione per esso. Si tratta di un peccato che è un vero
flagello e per sua causa sugli uomini incombe l'ultima rovina: l'espulsione dal
regno di Dio e lo sterminio.
Questo può sembrare comune a
ogni genere di peccato, ma qui abbiamo di caratteristico che i fornicatori,
secondo la frase dell'Apostolo, peccano contro il proprio corpo: "Fuggite
l'impudicizia; qualunque peccato l'uomo commetta, si svolge fuori del corpo, ma
il fornicatore pecca sul proprio corpo" (1 Cor 6,18), vale a dire lo
tratta ignominiosamente, violandone la santità. A quelli di Tessalonica lo
stesso san Paolo diceva: "Dio vuole la vostra santificazione; che vi
asteniate da atti impuri; che ciascuno di voi sappia mantenere il vaso del suo
corpo in santità e dignità, non nella irrequietezza del desiderio, come i
pagani che ignorano Dio" (1 Ts 4,5).
E cosa ben più ripugnante, se
è un cristiano colui che si unisce turpemente a una meretrice, perché rende
membra di meretrice le membra di Gesù Cristo, come appunto dice san Paolo:
"Non sapete che i vostri corpi sono membra di Gesù Cristo? Sottraendo le
membra a Gesù Cristo, le farò membra della meretrice? Non sia mai. Ignorate forse
che aderendo alla meretrice, ne risulta un solo corpo?" (2 Cor 6,15).
Inoltre il cristiano, sempre
secondo san Paolo, è tempio dello Spirito Santo (1 Cor 6,19); violarlo
significa espellerne lo Spirito Santo stesso.
Tuttavia particolare
malvagità è racchiusa nel delitto di adulterio. Infatti, come vuole l'Apostolo,
i coniugi sono così vincolati da una scambievole sudditanza che nessuno dei due
possiede illimitata potestà sul proprio corpo, ma sono così schiavi l'uno
dell'altro che il marito deve uniformarsi alla volontà della moglie e la moglie
a quella del marito (1 Cor 7,4). Ne consegue che chi dei due separa il proprio
corpo, soggetto all'altrui diritto, da colui al quale è vincolato, si rende reo
di specialissima iniquità.
Poiché l'orrore dell'infamia
è per gli uomini un valido stimolo a fare quanto è prescritto e a fuggire
quanto è vietato, il parroco insisterà nel mostrare come l'adulterio imprima
sugli individui un profondo segno di infamia. E scritto nella Sacra Scrittura:
"L'adultero, a causa della sua fragilità di cuore, perderà l'anima sua;
condensa su di sé la vergogna e l'abominio; la sua turpitudine non sarà mai
cancellata" (Prv 6,32).
La gravità di questa colpa
può essere facilmente ricavata dalla severità della punizione stabilita. Nella
legge fissata da Dio nel Vecchio Testamento gli adulteri venivano lapidati (Lv
20,10; Dt 22,22). Anzi talora per la concupiscenza sfrenata di uno solo, non il
reo semplicemente, ma l'intera città fu condannata alla distruzione; tale fu la
sorte dei Sichemiti (Gn 34,25). Del resto numerosi appaiono nella Sacra
Scrittura gli esempi dell'ira divina, che il parroco potrà evocare, per
allontanare gli uomini dalla riprovevole libidine: la sorte di Sodoma e delle
città confinanti (Gn 19,24); il supplizio degli Israeliti che avevano fornicato
nel deserto con le figlie di Moab (Nm 25); la distruzione dei Beniamiti (Gdc
20).
Se v'è qualcuno che sfugge
alla morte, non si sottrae però a dolori intollerabili, a tormenti punitivi,
che piombano inesorabili. Accecato com'è nella mente (ed è già questa pena
gravissima), non tiene più conto di Dio, della fama, della dignità, dei figli e
della stessa vita. Resta così depravato e inutilizzato, da non poterglisi
affidare nulla di importante, o assegnarlo come idoneo ad alcun ufficio.
Possiamo scorgere esempi di questo in David come in Salomone. Il primo, resosi
reo di adulterio, subitamente cambiò natura e da mitissimo divenne feroce, sì
da mandare alla morte l'ottimo Uria (2 Sam 11); l'altro, perduto nei piaceri
delle donne, si allontanò talmente dalla vera religione di Dio da seguire
divinità straniere (1 Re 11). Secondo la parola di Osea, questo peccato travia
il cuore dell'uomo (Os 4,11) e ne acceca la mente.
18 Rimedi per conservare la castità
336 Veniamo ai rimedi che
riguardano l’azione da svolgere. Il primo consiste nel fuggire con ogni cura
l'ozio. Impoltronendo nell'ozio, come dice Ezechiele (Ez 16,49), gli abitanti
di Sodoma precipitarono nel più vergognoso crimine di concupiscenza.
Sono poi da evitarsi con
grande vigilanza gli eccessi nel mangiare e nel bere. "Li satollai"
dice il Profeta "ed essi fornicarono" (Ger 5,7). Il ventre ripieno
provoca la libidine, come accennò il Signore con le parole: "Badate che i
vostri cuori non si appesantiscano nella crapula e nell'ebrietà" (Lc
21,34) e l'Apostolo: "Non vogliate ubriacarvi, poiché il vino nasconde la
lussuria" (Ef 5,18).
Gli occhi sono i veicoli più
pericolosi, attraverso i quali l'animo suole accendersi alla libidine. Per
questo il Signore ha detto: "Se il tuo occhio destro ti scandalizza,
cavalo e gettalo via da te " (Mt 5,29). Molte sono in proposito le
sentenze dei Profeti. Giobbe dice per esempio: "Strinsi un patto con gli
occhi miei, di neppure pensare a una vergine" (Gb 31,1). Sono copiosi,
anzi innumerevoli gli esempi di azioni perverse, provocate dalla vista. Peccò
così David (2 Sam 11,2); peccò così il re di Sichem (Gn 34,2); così finirono
con il farsi calunniatori di Susanna i vecchi, di cui parla Daniele (13,8).
Spesso incentivo non
indifferente alla libidine offre la moda ricercata, che solletica l'occhio. Per
questo ammonisce il Siracide: "Volta la faccia dalla donna elegante"
(9,8).
E poiché le donne sogliono
badare troppo al loro abbigliamento, non sarà male che il parroco attenda di
frequente a premunirle in proposito, memore delle parole gravissime che
l'Apostolo Pietro ha dettato sull'argomento: "La pettinatura delle donne
non sia appariscente, i monili e l'abbigliamento non siano ricercati" (1
Pt 3,3) e di quelle di san Paolo: "Non badate ai capelli ben attorcigliati,
agli ori, alle pietre preziose, alle vesti sontuose" (1 Tm 2,9); molte
infatti che si erano adornate con oro e gioielli, smarrirono i veri ornamenti
dell'anima e del corpo.
Insieme all'incentivo
libidinoso che è dato dalla raffinata ricercatezza delle vesti, occorre
aggiungere quello che emana dai discorsi turpi e osceni. L'oscenità delle
parole, quasi fiaccola ardente, accende l'animo dei giovani: "Le perverse
conversazioni" dice l'Apostolo "corrompono i buoni costumi" (1
Cor 15,33). E poiché il medesimo effetto producono, in misura anche più
notevole, i balli e i canti sdolcinati, occorre tenersi lontani anche da
questi.
Fra questi incitamenti alla
voluttà vanno annoverati i libri osceni e trattanti dell'amore sessuale, che
devono evitarsi con non minore severità delle figure rappresentanti qualcosa di
turpe, la cui capacità di spingere al male e di infiammare i sensi giovanili è
straordinaria. Il parroco curi perciò soprattutto che siano osservate con il
massimo rispetto le costituzioni sapienti del Concilio Tridentino in proposito
(sess. 24).
Se con attenta cura e vigile
amore si eviterà quanto abbiamo ricordato, sarà soppressa ogni occasione alla
concupiscenza carnale; ma per la sua virulenza valgono in modo eminente la
Confessione e la Comunione frequente; le assidue e umili preci a Dio,
accompagnate da elemosine e da digiuni. La castità è, in fondo, un dono che Dio
non nega a chi rettamente lo cerca (1 Cor 7,7), poiché egli non consente che
siamo tentati sopra le nostre forze (1 Cor 10,13).
Dobbiamo infine mortificare
il corpo e i suoi appetiti malsani, non solamente con i digiuni, quelli
specialmente prescritti dalla santa Chiesa, ma anche con le vigilie, i pii
pellegrinaggi e con macerazioni di altro genere. In queste pratiche, infatti,
si manifesta la virtù della temperanza. Scriveva appunto san Paolo a quelli di
Corinto: "Chi si appresta a gareggiare nella palestra, segue un regime di
grande astinenza. Eppure essi ambiscono una semplice corona corruttibile,
mentre noi l'aspettiamo immortale". E poco appresso: "Castigo il mio
corpo e lo tengo in soggezione, affinché, dopo aver predicato agli altri, io
stesso non divenga alla fine un reprobo" (1 Cor 9,25). E altrove:
"Non vogliate pascere la carne nei suoi immoderati desideri" (Rm
13,14).