Se Cristo, per mezzo della sua risurrezione, ha superato la più grande
crisi mai esistita della fede — la crisi pre-pasquale dei discepoli — e,
in particolare, la crisi della missione e della potestà apostolica, e
dunque anche del sacerdozio cattolico, allora, è proprio e soltanto nel
nostro sguardo rivolto al Signore che è possibile superare anche tutte
le crisi storiche del sacerdozio.
Corrispondendo al suo sguardo su di noi e sul nostro sacerdozio, con il nostro sguardo rivolto a Lui, fissando i nostri occhi in quelli del Sommo sacerdote, crocifisso e risorto, possiamo superare ogni ostacolo e difficoltà.
Penso in particolare alla crisi della dottrina del sacerdozio, avvenuta durante la Riforma protestante, una crisi a livello dogmatico, con cui il sacerdote è stato ridotto a un mero rappresentante della comunità, mediante una eliminazione della differenza essenziale fra il sacerdozio ordinato e quello comune di tutti i fedeli. E poi alla crisi esistenziale e spirituale, avvenuta nella seconda metà del XX secolo ed esplosa dopo il concilio Vaticano II, delle cui conseguenze noi oggi ancora soffriamo. Joseph Ratzinger, nell’ampio volume Annunciatori della Parola e servitori della vostra gioia — il dodicesimo dell’opera omnia — ha suggerito un superamento di queste crisi con una proposta ad alto livello teologico, donandoci una guida per favorire un rinnovamento del sacerdozio sacramentale istituito da Cristo.
Gli studi scientifici, le meditazioni e le omelie sul servizio episcopale, presbiterale/sacerdotale e diaconale, contenute in questo volume, abbracciano un lasso di tempo di quasi cinquant’anni, a partire dagli anni immediatamente precedenti l’inizio del Vaticano II.
A questo avvenimento, che è stato quello che più ha segnato la storia recente della Chiesa, molti associano, a seconda della rispettiva posizione, l’inizio di una trasformazione conforme allo spirito del tempo, ovvero l’inizio di una profonda crisi della Chiesa e in particolare del sacerdozio.
Il concilio ha inquadrato la costituzione gerarchica della Chiesa — la quale si dispiega nei differenti compiti del vescovo, del sacerdote e del diacono — in un’ecclesiologia di ampio respiro, rinnovata a partire dalle fonti bibliche e patristiche (cfr. Lumen gentium, 18-29). Le affermazioni sui gradi dell’episcopato e del presbiterato vennero approfondite nei decreti Christus Dominus e Presbyterorum ordinis.
In tal modo, il concilio ha cercato di riaprire una nuova strada verso l’autentica comprensione dell’identità del sacerdozio. Perché mai si giunse allora, all’indomani del concilio, a una sua crisi d’identità, paragonabile storicamente solo con le conseguenze della Riforma protestante del XVI secolo?
Nella parte a) del libro, dal titolo «Teologia del sacramento dell’ordine», Joseph Ratzinger intende rispondere anche a questa domanda e mostra, con afflato positivo, sia il fondamento biblico che il conseguente sviluppo storico-dogmatico del sacramento dell’ordine.
Nella parte b), il lettore troverà, sotto il titolo «Servitori della vostra gioia», una raccolta di meditazioni sulla spiritualità sacerdotale. Tale titolo riprende le parole che il novello sacerdote Joseph Ratzinger pose sull’immaginetta-ricordo della sua prima messa.
Seguono, nella parte c), le prediche tenute in occasione di diverse ordinazioni sacerdotali e diaconali, di prime messe e di anniversari di sacerdozio o di episcopato. Non si tratta di lirica devota, ma del tentativo riuscito di portare alla luce le fonti spirituali alle quali ogni sacerdote giornalmente attinge, per essere un servo buono del suo Signore e un servitore della lieta novella di Cristo, capace di entusiasmare: un pastore che non pasce se stesso, ma che, come Cristo, il Pastore supremo, dà la sua vita per le pecore del gregge di Dio.
Ratzinger evidenzia che laddove viene meno il fondamento dogmatico del sacerdozio cattolico, non solo si esaurisce la fonte alla quale si può efficacemente abbeverare una vita alla sequela di Cristo, ma viene meno anche la motivazione che introduce sia a una ragionevole comprensione della rinuncia al matrimonio per il regno dei cieli (cfr. Matteo, 19, 12), che del celibato quale segno escatologico del mondo di Dio che verrà, segno da vivere con la forza dello Spirito Santo, in letizia e certezza.
Se la relazione simbolica che appartiene alla natura del sacramento viene oscurata, il celibato sacerdotale diviene il relitto di un passato ostile alla corporeità e viene additato e combattuto come l’unica causa della penuria di sacerdoti. Non da ultimo, scompare poi anche l’evidenza, per il magistero e la prassi della Chiesa, che il sacramento dell’ordine debba essere amministrato solo a uomini. Un ufficio concepito in termini funzionali, nella Chiesa, si espone al sospetto di legittimare un dominio, che invece dovrebbe essere fondato e limitato in senso democratico.
La crisi del sacerdozio nel mondo occidentale, negli ultimi decenni, è anche il risultato di un radicale disorientamento dell’identità cristiana di fronte a una filosofia che trasferisce all’interno del mondo il senso più profondo e il fine ultimo della storia e di ogni esistenza umana, privandolo così dell’orizzonte trascendente e della prospettiva escatologica.
Attendere tutto da Dio e fondare tutta la propria vita su Dio, che in Cristo ci ha donato tutto: questa sola può essere la logica di una scelta di vita che, nella completa donazione di sé, si pone in cammino alla sequela di Gesù, partecipando alla sua missione di Salvatore del mondo, missione che egli compie nella sofferenza e nella croce, e che Egli ha ineludibilmente rivelato attraverso la sua risurrezione dai morti.
Ma, alla radice di questa crisi del sacerdozio, bisogna rilevare anche dei fattori infra-ecclesiali. Come mostra nei suoi primi interventi, Raztinger possiede fin dall’inizio una viva sensibilità nel percepire da subito quelle scosse con cui si annunciava il terremoto: e ciò soprattutto nell’apertura, da parte di tanti ambiti cattolici, all’esegesi protestante in voga negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso.
Spesso, da parte cattolica, non ci si è resi conto delle visioni pregiudiziali che soggiacevano all’esegesi scaturita dalla Riforma. E così sulla Chiesa cattolica (e ortodossa) si è abbattuta la furia della critica al sacerdozio ministeriale, nella presunzione che questo non avesse un fondamento biblico.
Il sacerdozio sacramentale, tutto riferito al sacrificio eucaristico — così come era stato affermato al concilio di Trento — a prima vista non sembrava essere biblicamente fondato, sia dal punto di vista terminologico, sia per quel che riguarda le particolari prerogative del sacerdote rispetto ai laici, specialmente per ciò che attiene al potere di consacrare. La critica radicale al culto — e con essa il superamento, a cui si mirava, di un sacerdozio che limitasse la pretesa funzione di mediazione — sembrò far perdere terreno a una mediazione sacerdotale nella Chiesa.
Alla critica formulata dalla Riforma al sacerdozio sacramentale — il quale avrebbe messo in discussione l’unicità del sommo sacerdozio di Cristo (in base alla Lettera agli Ebrei) e avrebbe emarginato il sacerdozio universale di tutti i fedeli (secondo 1 Pietro, 2, 5) — si è unita infine la moderna idea di autonomia del soggetto, con la prassi individualista che ne deriva, la quale guarda con sospetto a qualunque esercizio dell’autorità.
Da una parte, osservando che Gesù, da un punto di vista sociologico-religioso, non era un sacerdote con funzioni cultuali e dunque (per usare una formulazione anacronistica) era un laico, e dall’altra parte, basandosi sul fatto che, nel Nuovo Testamento, per i servizi e i ministeri, non viene addotta alcuna terminologia sacrale, bensì denominazioni ritenute profane, è sembrato che si potesse considerare dimostrata come inadeguata la trasformazione — nella Chiesa delle origini, a partire dal III secolo — di coloro che svolgevano mere “funzioni” all’interno della comunità, in impropri detentori di un nuovo sacerdozio cultuale.
Joseph Ratzinger sottopone, a sua volta, a un puntuale esame critico, la critica storica improntata alla teologia protestante e lo fa distinguendo i pregiudizi filosofici e teologici dall’uso del metodo storico. In tal modo, egli riesce a mostrare che con le acquisizioni della moderna esegesi biblica e una precisa analisi dello sviluppo storico-dogmatico si può giungere in modo assai fondato alle affermazioni dogmatiche prodotte soprattutto nei concili di Firenze, di Trento e del Vaticano II.
La teologia cattolica potrebbe comprendere le obiezioni rivolte contro il suo sacerdozio se questo venisse da lei inteso come una mediazione autosufficiente, o anche solo integrativa, accanto o a esclusione di quella di Cristo. Perciò, anche le obiezioni di Martin Lutero, in realtà non toccano il nucleo centrale dell’insegnamento dogmatico vincolante sul sacerdozio sacramentale.
Il concilio di Trento, nel suo decreto sul sacramento dell’ordine, si limitò a respingere le obiezioni del primo riformatore, ma rinunciò a presentarne un’ampia trattazione teologica. E tuttavia, i decreti tridentini di riforma, per lo più a torto trascurati — Ratzinger lo sottolinea con forza — danno importanza alla concezione biblica del sacerdote come servitore della Parola e dei sacramenti, e anche come pastore sollecito della salute spirituale dei fedeli.
Nel dialogo ecumenico devono peraltro essere messi a tema, al di là delle differenze di contenuto, anche i principi formali della teologia: la Scrittura, la tradizione e il magistero, i quali, pur differendo fra essi, cooperano al fine di preservare la totalità della rivelazione. Rivelazione che deve essere protetta da un’esegesi soggettivistica e arbitraria, così da preservarne la pienezza e la pretesa totale.
Qui emerge anche quella dimensione del sacramento dell’ordine che va oltre le funzioni del presbitero e del diacono. Si tratta della responsabilità propria dei vescovi, come successori degli apostoli, nel loro ufficio magisteriale e pastorale rispetto alla Chiesa universale.
Per questo, secondo la concezione cattolica, anche il servizio del vescovo di Roma, quale successore di Pietro, è di imprescindibile importanza. A tal proposito, Ratzinger rimanda di continuo a Ireneo di Lione che, con il principio della Scrittura apostolica, della tradizione apostolica e della successione apostolica dei vescovi, ne ha stabilito il criterio normativo permanente.
In fondo, già nell’opera di delimitazione della gnosi, compiuta da Ireneo con l’Adversus haereses, sono contenuti anche i tratti essenziali circa la dottrina del primato papale, tanto che il successivo sviluppo del magistero, nella sua intenzione autentica, può essere chiarito proprio a partire da Ireneo.
Fa parte della riconquista dell’identità sacerdotale la disponibilità a intendere se stessi come servitori della Parola e testimoni di Dio nella sequela di Cristo, e a vivere in comunione con Lui. Perché questo sia possibile, sono richieste al sacerdote sia una buona formazione teologica che un costante rapporto con la teologia scientifica.
Osservatore Romano 31 ottobre 2013
Corrispondendo al suo sguardo su di noi e sul nostro sacerdozio, con il nostro sguardo rivolto a Lui, fissando i nostri occhi in quelli del Sommo sacerdote, crocifisso e risorto, possiamo superare ogni ostacolo e difficoltà.
Penso in particolare alla crisi della dottrina del sacerdozio, avvenuta durante la Riforma protestante, una crisi a livello dogmatico, con cui il sacerdote è stato ridotto a un mero rappresentante della comunità, mediante una eliminazione della differenza essenziale fra il sacerdozio ordinato e quello comune di tutti i fedeli. E poi alla crisi esistenziale e spirituale, avvenuta nella seconda metà del XX secolo ed esplosa dopo il concilio Vaticano II, delle cui conseguenze noi oggi ancora soffriamo. Joseph Ratzinger, nell’ampio volume Annunciatori della Parola e servitori della vostra gioia — il dodicesimo dell’opera omnia — ha suggerito un superamento di queste crisi con una proposta ad alto livello teologico, donandoci una guida per favorire un rinnovamento del sacerdozio sacramentale istituito da Cristo.
Gli studi scientifici, le meditazioni e le omelie sul servizio episcopale, presbiterale/sacerdotale e diaconale, contenute in questo volume, abbracciano un lasso di tempo di quasi cinquant’anni, a partire dagli anni immediatamente precedenti l’inizio del Vaticano II.
A questo avvenimento, che è stato quello che più ha segnato la storia recente della Chiesa, molti associano, a seconda della rispettiva posizione, l’inizio di una trasformazione conforme allo spirito del tempo, ovvero l’inizio di una profonda crisi della Chiesa e in particolare del sacerdozio.
Il concilio ha inquadrato la costituzione gerarchica della Chiesa — la quale si dispiega nei differenti compiti del vescovo, del sacerdote e del diacono — in un’ecclesiologia di ampio respiro, rinnovata a partire dalle fonti bibliche e patristiche (cfr. Lumen gentium, 18-29). Le affermazioni sui gradi dell’episcopato e del presbiterato vennero approfondite nei decreti Christus Dominus e Presbyterorum ordinis.
In tal modo, il concilio ha cercato di riaprire una nuova strada verso l’autentica comprensione dell’identità del sacerdozio. Perché mai si giunse allora, all’indomani del concilio, a una sua crisi d’identità, paragonabile storicamente solo con le conseguenze della Riforma protestante del XVI secolo?
Nella parte a) del libro, dal titolo «Teologia del sacramento dell’ordine», Joseph Ratzinger intende rispondere anche a questa domanda e mostra, con afflato positivo, sia il fondamento biblico che il conseguente sviluppo storico-dogmatico del sacramento dell’ordine.
Nella parte b), il lettore troverà, sotto il titolo «Servitori della vostra gioia», una raccolta di meditazioni sulla spiritualità sacerdotale. Tale titolo riprende le parole che il novello sacerdote Joseph Ratzinger pose sull’immaginetta-ricordo della sua prima messa.
Seguono, nella parte c), le prediche tenute in occasione di diverse ordinazioni sacerdotali e diaconali, di prime messe e di anniversari di sacerdozio o di episcopato. Non si tratta di lirica devota, ma del tentativo riuscito di portare alla luce le fonti spirituali alle quali ogni sacerdote giornalmente attinge, per essere un servo buono del suo Signore e un servitore della lieta novella di Cristo, capace di entusiasmare: un pastore che non pasce se stesso, ma che, come Cristo, il Pastore supremo, dà la sua vita per le pecore del gregge di Dio.
Ratzinger evidenzia che laddove viene meno il fondamento dogmatico del sacerdozio cattolico, non solo si esaurisce la fonte alla quale si può efficacemente abbeverare una vita alla sequela di Cristo, ma viene meno anche la motivazione che introduce sia a una ragionevole comprensione della rinuncia al matrimonio per il regno dei cieli (cfr. Matteo, 19, 12), che del celibato quale segno escatologico del mondo di Dio che verrà, segno da vivere con la forza dello Spirito Santo, in letizia e certezza.
Se la relazione simbolica che appartiene alla natura del sacramento viene oscurata, il celibato sacerdotale diviene il relitto di un passato ostile alla corporeità e viene additato e combattuto come l’unica causa della penuria di sacerdoti. Non da ultimo, scompare poi anche l’evidenza, per il magistero e la prassi della Chiesa, che il sacramento dell’ordine debba essere amministrato solo a uomini. Un ufficio concepito in termini funzionali, nella Chiesa, si espone al sospetto di legittimare un dominio, che invece dovrebbe essere fondato e limitato in senso democratico.
La crisi del sacerdozio nel mondo occidentale, negli ultimi decenni, è anche il risultato di un radicale disorientamento dell’identità cristiana di fronte a una filosofia che trasferisce all’interno del mondo il senso più profondo e il fine ultimo della storia e di ogni esistenza umana, privandolo così dell’orizzonte trascendente e della prospettiva escatologica.
Attendere tutto da Dio e fondare tutta la propria vita su Dio, che in Cristo ci ha donato tutto: questa sola può essere la logica di una scelta di vita che, nella completa donazione di sé, si pone in cammino alla sequela di Gesù, partecipando alla sua missione di Salvatore del mondo, missione che egli compie nella sofferenza e nella croce, e che Egli ha ineludibilmente rivelato attraverso la sua risurrezione dai morti.
Ma, alla radice di questa crisi del sacerdozio, bisogna rilevare anche dei fattori infra-ecclesiali. Come mostra nei suoi primi interventi, Raztinger possiede fin dall’inizio una viva sensibilità nel percepire da subito quelle scosse con cui si annunciava il terremoto: e ciò soprattutto nell’apertura, da parte di tanti ambiti cattolici, all’esegesi protestante in voga negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso.
Spesso, da parte cattolica, non ci si è resi conto delle visioni pregiudiziali che soggiacevano all’esegesi scaturita dalla Riforma. E così sulla Chiesa cattolica (e ortodossa) si è abbattuta la furia della critica al sacerdozio ministeriale, nella presunzione che questo non avesse un fondamento biblico.
Il sacerdozio sacramentale, tutto riferito al sacrificio eucaristico — così come era stato affermato al concilio di Trento — a prima vista non sembrava essere biblicamente fondato, sia dal punto di vista terminologico, sia per quel che riguarda le particolari prerogative del sacerdote rispetto ai laici, specialmente per ciò che attiene al potere di consacrare. La critica radicale al culto — e con essa il superamento, a cui si mirava, di un sacerdozio che limitasse la pretesa funzione di mediazione — sembrò far perdere terreno a una mediazione sacerdotale nella Chiesa.
Alla critica formulata dalla Riforma al sacerdozio sacramentale — il quale avrebbe messo in discussione l’unicità del sommo sacerdozio di Cristo (in base alla Lettera agli Ebrei) e avrebbe emarginato il sacerdozio universale di tutti i fedeli (secondo 1 Pietro, 2, 5) — si è unita infine la moderna idea di autonomia del soggetto, con la prassi individualista che ne deriva, la quale guarda con sospetto a qualunque esercizio dell’autorità.
Da una parte, osservando che Gesù, da un punto di vista sociologico-religioso, non era un sacerdote con funzioni cultuali e dunque (per usare una formulazione anacronistica) era un laico, e dall’altra parte, basandosi sul fatto che, nel Nuovo Testamento, per i servizi e i ministeri, non viene addotta alcuna terminologia sacrale, bensì denominazioni ritenute profane, è sembrato che si potesse considerare dimostrata come inadeguata la trasformazione — nella Chiesa delle origini, a partire dal III secolo — di coloro che svolgevano mere “funzioni” all’interno della comunità, in impropri detentori di un nuovo sacerdozio cultuale.
Joseph Ratzinger sottopone, a sua volta, a un puntuale esame critico, la critica storica improntata alla teologia protestante e lo fa distinguendo i pregiudizi filosofici e teologici dall’uso del metodo storico. In tal modo, egli riesce a mostrare che con le acquisizioni della moderna esegesi biblica e una precisa analisi dello sviluppo storico-dogmatico si può giungere in modo assai fondato alle affermazioni dogmatiche prodotte soprattutto nei concili di Firenze, di Trento e del Vaticano II.
La teologia cattolica potrebbe comprendere le obiezioni rivolte contro il suo sacerdozio se questo venisse da lei inteso come una mediazione autosufficiente, o anche solo integrativa, accanto o a esclusione di quella di Cristo. Perciò, anche le obiezioni di Martin Lutero, in realtà non toccano il nucleo centrale dell’insegnamento dogmatico vincolante sul sacerdozio sacramentale.
Il concilio di Trento, nel suo decreto sul sacramento dell’ordine, si limitò a respingere le obiezioni del primo riformatore, ma rinunciò a presentarne un’ampia trattazione teologica. E tuttavia, i decreti tridentini di riforma, per lo più a torto trascurati — Ratzinger lo sottolinea con forza — danno importanza alla concezione biblica del sacerdote come servitore della Parola e dei sacramenti, e anche come pastore sollecito della salute spirituale dei fedeli.
Nel dialogo ecumenico devono peraltro essere messi a tema, al di là delle differenze di contenuto, anche i principi formali della teologia: la Scrittura, la tradizione e il magistero, i quali, pur differendo fra essi, cooperano al fine di preservare la totalità della rivelazione. Rivelazione che deve essere protetta da un’esegesi soggettivistica e arbitraria, così da preservarne la pienezza e la pretesa totale.
Qui emerge anche quella dimensione del sacramento dell’ordine che va oltre le funzioni del presbitero e del diacono. Si tratta della responsabilità propria dei vescovi, come successori degli apostoli, nel loro ufficio magisteriale e pastorale rispetto alla Chiesa universale.
Per questo, secondo la concezione cattolica, anche il servizio del vescovo di Roma, quale successore di Pietro, è di imprescindibile importanza. A tal proposito, Ratzinger rimanda di continuo a Ireneo di Lione che, con il principio della Scrittura apostolica, della tradizione apostolica e della successione apostolica dei vescovi, ne ha stabilito il criterio normativo permanente.
In fondo, già nell’opera di delimitazione della gnosi, compiuta da Ireneo con l’Adversus haereses, sono contenuti anche i tratti essenziali circa la dottrina del primato papale, tanto che il successivo sviluppo del magistero, nella sua intenzione autentica, può essere chiarito proprio a partire da Ireneo.
Fa parte della riconquista dell’identità sacerdotale la disponibilità a intendere se stessi come servitori della Parola e testimoni di Dio nella sequela di Cristo, e a vivere in comunione con Lui. Perché questo sia possibile, sono richieste al sacerdote sia una buona formazione teologica che un costante rapporto con la teologia scientifica.
Osservatore Romano 31 ottobre 2013