LA CONTINENZA
Introduzione.
1. 1. È difficile trattare in
modo adeguato ed esauriente della virtù dell'anima che chiamiamo continenza,
virtù che è un insigne dono del Signore. Speriamo che colui che ce la elargisce
aiuti la nostra pochezza perché non venga meno sotto il peso d'un compito così
grave. Difatti chi dona la continenza ai fedeli che ne fanno pratica è lo
stesso che dona la parola adatta a quanti, fra i suoi ministri, osano tentarne
una esposizione. Volendo, dunque, trattare un argomento così elevato per dirne
quello che Dio ci concederà, prima di tutto affermeremo e dimostreremo che la
continenza è un dono di Dio. Lo troviamo scritto nel libro della Sapienza:
Nessuno può essere continente se Dio non gliene fa dono 1. E anche il Signore, a proposito
di quella continenza più rigorosa per cui ci si astiene dal matrimonio, diceva:
Non tutti capiscono questa parola, ma soltanto coloro cui è stato
donato 2. Né solo questa, ma anche la
castità coniugale non la si può osservare senza la continenza da ogni forma
illecita di rapporto carnale. E di tutt'e due le forme di vita, tanto degli
sposati come dei non sposati, affermava l'Apostolo che sono doni di Dio. Io
vorrei - diceva - che tutti fossero come me stesso; tuttavia ciascuno ha
da Dio il suo dono: uno così, e un altro differentemente 3.
La bocca interiore del cuore.
1. 2. La continenza che
ci attendiamo dal Signore non è necessaria soltanto per frenare le passioni
carnali propriamente dette. Lo dimostra il salmo, là dove cantiamo: Poni, o
Signore, una custodia alla mia bocca, una porta - quella della continenza -
sulle mie labbra 4.
Da questa testimonianza del libro divino, se prendiamo la parola bocca nel
senso esatto in cui occorre intenderla, ci convinceremo qual grande dono di Dio
sia la continenza della bocca. Tuttavia sarebbe cosa da poco tenere a freno la
bocca, in senso materiale, perché non ne escano parole sconvenienti. C'è nel
nostro interno un'altra bocca, quella del cuore; ed è qui che desiderava fosse
posta dal Signore una guardia e un uscio, quello della continenza, colui che
pronunziò le parole del salmo e le scrisse perché le ripetessimo. Ci sono
infatti molte parole che non pronunziamo con la bocca ma gridiamo con il cuore.
E viceversa non ci sono parole che noi pronunziamo con la voce attraverso la
bocca, se il cuore non ce le detta. Se dal cuore non esce nulla, al di fuori
non si pronunciano parole. Se dal cuore escono cose cattive, anche se la lingua
non vibra, l'anima rimane macchiata. È al cuore, dunque, che bisogna imporre la
continenza: là dove parla la coscienza anche di coloro che stanno zitti con la
bocca. E questa continenza, a guisa di porta, farà sì che dal cuore non esca
niente di ciò che, anche a labbra chiuse, contaminerebbe la vita dell'uomo
mediante il pensiero.
Continenza interiore.
2. 3. Con le parole: Poni,
Signore, una custodia sulla mia bocca e una porta, la continenza, sulle mie
labbra voleva intendere la bocca interiore del cuore. Lo indica assai
chiaramente quel che soggiunge subito appresso: Non permettere che il mio
cuore pieghi verso parole maligne 5.
Cos'è la piega del cuore, se non il consenso? Non pronuncia alcuna parola
colui che, sebbene attraverso i sensi gli si presentino gli stimoli delle cose
più disparate, tuttavia non vi consente né volge il cuore ad esse. Se invece vi
consente, già dice la sua parola nel cuore, anche se con la voce non proferisce
alcun suono. Anche se con la mano o con le altre membra del corpo non compie
alcun atto, egli l'ha già eseguito se col pensiero ha deciso di farlo. È già
colpevole di fronte alle leggi divine, anche se occulto ad ogni occhio umano:
colpevole per la parola detta nel cuore, non per il gesto compiuto col corpo.
Non potrebbe infatti mettere in azione un membro del corpo per l'esecuzione
dell'opera, se questa non fosse stata preceduta da una parola interiore che
costituisce il principio. Come sta scritto con verità: Principio di ogni
azione è la parola 6.
Sono infatti numerose le opere che gli uomini compiono senza aprire la bocca,
né muovere la lingua o levare la voce; tuttavia nulla eseguono col corpo, nel
campo dell'azione, se prima non si siano pronunciati col cuore. Ci sono
pertanto molti peccati nelle scelte interiori dello spirito che non sono
seguiti da opere esterne; mentre non ci sono peccati esterni, di opere, che non
siano preceduti da decisioni interne del cuore. Si sarà esenti dall'una e
dall'altra specie di colpa se sulle labbra interiori dello spirito si saprà
porre la porta della continenza.
La continenza interiore nell'insegnamento evangelico.
2. 4. Per questo motivo
il Signore di sua propria bocca ebbe a dire: Ripulite ciò che sta dentro;
così sarà puro anche ciò che sta fuori 7.
E in altra circostanza, quando si mise a confutare la scempiaggine dei giudei
che rimproveravano ai discepoli d'andare a mensa senza lavarsi le mani: Non
sono le cose che entrano nella bocca a sporcare l'uomo; sono piuttosto quelle
che escono dalla bocca che lo rendono impuro 8.
La quale asserzione, se dovesse riferirsi esclusivamente alla bocca in senso
proprio, finirebbe col diventare un assurdo: difatti come non ci si sporca per
il cibo così non ci si sporca per il vomito, il cibo che entra per la bocca, il
vomito che ne esce. Ma, evidentemente, le parole iniziali della frase, cioè: Ciò
che entra nella bocca non sporca l'uomo, si riferiscono alla bocca in senso
proprio; mentre il seguito, e cioè: Quanto esce dalla bocca sporca l'uomo,
si riferisce alla bocca del cuore. Lo precisò il Signore quando, alla richiesta
dell'apostolo Pietro che gli venisse spiegata la parabola, rispose: Siete
anche voi ancora senza cervello? Non capite come tutto ciò che entra nella
bocca va nell'intestino e lo si scarica nel gabinetto? 9.
Riconosciamo da qui senza esitazione che la bocca in cui entra il cibo è la
bocca, organo del nostro corpo. Quanto alle parole successive, dobbiamo invece
intenderle della bocca del cuore: interpretazione alla quale non sarebbe giunta
l'ottusità del nostro cuore se la
Verità non si fosse degnata di camminare al fianco di noi
ottusi. Diceva infatti: Le cose che escono dalla bocca procedono dal
cuore 10.
Come se volesse dire: Quando senti dalla bocca, intendi dal
cuore. Dico tutt'e due le cose, ma con la seconda spiego la prima. L'uomo
interiore ha una bocca interiore, e delle sue parole ha percezione l'orecchio
interiore. Le cose che escono da questa bocca provengono dal cuore e rendono
impuro l'uomo. In ultimo, lasciando da parte la parola "bocca", che
si sarebbe potuta intendere anche della bocca che sta nel corpo, il Signore
mostrò con ogni chiarezza ciò che voleva dire. Dal cuore - diceva -
escono i pensieri cattivi, gli omicidi, gli adultèri, le disonestà, i furti, le
false testimonianze, le bestemmie; e queste sono le cose che macchiano
l'uomo 11.
Di questi mali, che si possono compiere anche con le membra del corpo,
nessuno ce n'è che non sia preceduto dal pensiero cattivo; ed è questo pensiero
che macchia l'uomo, anche se sopravvengono ostacoli ad impedire che si eseguano
con le membra le opere esterne, delittuose o criminali. Ecco uno che non è
riuscito ad uccidere una persona perché la cosa gli si è resa impossibile. La
sua mano non ha commesso il delitto, ma può forse dirsi che ne sia immune il
suo cuore? Ancora: uno non ce la fa ad appropriarsi, come avrebbe voluto, della
roba altrui. Può forse dirsi che egli nella sua volontà non sia un ladro?
Ancora: un libertino si mette in testa un adulterio, però si imbatte in una
donna casta che lo respinge. Forse che non è già adultero nel suo cuore? O un
altro che cerchi d'incontrare una prostituta: se non riesce a trovarne alcuna per
la strada, forse che non si è reso già colpevole nella mente? Come quando uno
si sia deciso a rovinare il prossimo con la menzogna. Anche se poi non lo fa
per mancanza di tempo o di occasione, forse che non ha detto già con la bocca
del cuore una falsa testimonianza? Un altro per un certo senso di riguardo
verso la gente si trattiene dal proferire bestemmie. Se costui in cuor suo
negasse l'esistenza di Dio 12,
lo si potrebbe forse scusare da colpa? E così di tante altre malefatte. Esse
non si compiono con gesti del corpo, anzi, vengono ignorate dai sensi esterni;
eppure rendono colpevole l'uomo nell'intimo [della coscienza]. Egli viene reso
impuro mediante il consenso a peccati di pensiero, quel consenso che noi
chiamiamo parola colpevole della bocca interiore. Verso questa parola temeva il
salmista che il suo cuore deviasse, e pertanto chiedeva al Signore che gli
ponesse un uscio, quello della continenza, attorno alle labbra perché il suo
cuore fosse tenuto a bada e non deviasse verso parole maligne. Voleva cioè
quella continenza che impedisse al suo pensiero di consentire al male. In tal
modo il peccato, secondo il precetto dell'Apostolo, non regna nel
nostro corpo mortale, e le nostre membra non vengono offerte al peccato come
armi per perpetrare azioni inique 13.
Ma una tale prescrizione non l'adempiono certo coloro che, sebbene non si
lascino andare a colpe esterne per il fatto che non ne hanno la possibilità,
tuttavia quando l'occasione si presenta, attraverso l'uso che fanno delle
membra, come di armi, mettono bene in mostra chi sia il padrone del loro cuore.
Pertanto questi tali, per quanto è in loro, tengono le membra a servizio del
peccato, come armi per gesta inique. Essi infatti vogliono il peccato, e, se
non lo commettono all'esterno, è solo perché non lo possono.
Continenza interiore e condotta esterna.
2. 5. Non sarà mai
possibile che si violi od offenda la continenza in senso stretto, cioè il
dominio che per la castità si esercita sugli organi della generazione, finché
si conserva nel cuore quella superiore continenza di cui stiamo trattando. Per
questo motivo il Signore, detto che dal cuore escono i cattivi pensieri,
per mostrare cosa rientri nel concetto di cattivo pensiero, soggiunse: Gli
omicidi, gli adultèri ecc. 14.
Non elencò tutte le colpe, ma, nominatene alcune a mo' d'esempio, lasciò
intendere anche le altre. Orbene, fra tutte queste colpe, non ce n'è alcuna che
possa eseguirsi con atti [esterni] se prima non sia stata preceduta dal
pensiero cattivo, col quale si architetta dentro ciò che poi viene effettuato
al di fuori. E questo pensiero, uscendo dalla bocca del cuore, rende impuro
l'uomo, anche se nessuna azione cattiva viene compiuta all'esterno, con le
membra del corpo, per mancanza di occasione. Si ha dunque da porre l'uscio
della continenza sulla bocca del cuore, da cui promanano tutte le cose che
macchiano l'uomo: così, nulla di sconveniente potrà uscirne, ché anzi ne
seguirà uno stato di purezza di cui la coscienza non potrà non rallegrarsi, per
quanto non si sia ancora raggiunta quella perfezione dove la continenza non ha
da lottare col vizio. Attualmente però, finché la carne avanza pretese
contrarie a quelle dello spirito - così come lo spirito è contro la
carne 15
-, è per noi sufficiente non consentire al male che avvertiamo in noi. Che
se invece si presta questo consenso, allora esce dalla bocca del cuore ciò che
macula l'uomo. Viceversa, se in virtù della continenza questo consenso non
viene prestato, in nessun modo potrà nuocere quel male che è la concupiscenza
della carne, contro la quale lotta lo spirito con le sue aspirazioni.
La lotta interiore.
3. 6. Condurre una buona
battaglia - come si fa adesso, mentre si resiste alla invadenza della morte - è
tutt'altra cosa dall'essere senza avversari: cosa che attendiamo per quando
sarà stato annientato l'ultimo nemico che è la morte 16.
Peraltro la continenza, mentre tiene a freno e modera gli appetiti sregolati,
aspira anche al bene immortale a cui tendiamo, e respinge il male col quale
lottiamo nella nostra condizione di esseri mortali. Del bene futuro è amante e
ad esso è orientata; del male presente è avversaria e [solo] testimone. Ambisce
ciò che nobilita, fugge ciò che degrada. Non si affaticherebbe, la continenza,
a frenare le voglie della passione, se in noi non vi fossero tendenze per ciò
che non conviene né moti della concupiscenza disordinata contrastanti con la
nostra buona volontà. Lo grida l'Apostolo: So che in me, cioè nella mia
carne, non risiede il bene; difatti, se mi riesce a volere il bene, quanto al
praticarlo non ci riesco 17.
Attualmente quindi può praticarsi il bene, nel senso di non consentire alle
passioni disordinate; la perfezione del bene però si conseguirà soltanto quando
la stessa cattiva concupiscenza verrà eliminata. Per cui lo stesso Dottore
delle genti grida: Secondo l'uomo interiore mi compiaccio della legge di
Dio; ma scorgo nelle mie membra un'altra legge, che lotta contro la legge della
mia mente 18.
Legge e grazia.
3. 7. Questa lotta
interiore l'avverte soltanto chi combatte per l'acquisto della virtù e la
repressione dei vizi. Non c'è infatti mezzo per abbattere il male della
concupiscenza all'infuori del bene della continenza. Quanto poi agli altri che
non avvertono affatto le esigenze della legge di Dio e non collocano fra i
nemici le brame della concupiscenza ma con lagrimevole cecità si pongono al
loro servizio, costoro si stimano beati quando possono, non dico domarle, ma
piuttosto soddisfarle. Altri, invece, ce ne sono che ad opera della legge hanno
conosciuto le voglie della carnalità: è infatti dalla legge che viene la
conoscenza del peccato; come è detto ancora: Io non avrei conosciuto la
concupiscenza se nella legge non ci fosse la proibizione di desiderare [l'illecito] 19.
Costoro le hanno conosciute, ma vengono superati dal loro prolungato assedio,
perché vivono sotto la legge, che prescrive di fare il bene senza fornire i
mezzi per attuarlo, e non sotto la grazia che mediante l'azione dello Spirito
Santo dà facoltà di attuare ciò che la legge prescrive. La legge, quando
sopraggiunse, fece sì che in loro traboccasse il numero delle
trasgressioni 20.
La proibizione accrebbe la forza delle passioni e le rese insuperabili; e
si giunse così alla prevaricazione, che, se non ci fosse stata la legge, non
sarebbe esistita, nonostante l'esistenza del peccato. Difatti, dove non c'è
legge, non c'è nemmeno prevaricazione 21.
In tal modo, la legge, senza l'aiuto della grazia, col suo proibire il
peccato divenne una potenza del peccato; per cui l'Apostolo poté dire: La
forza del peccato è la legge 22.
Né ci deve sorprendere che l'infermità umana, mentre presume di adempiere
la legge confidando nelle sue sole forze, proprio mediante la legge, che di per
sé è buona, abbia accresciuto la forza al male. Misconoscendo infatti la
giustizia che Dio accorda al debole e pretendendo di istaurare
una sua giustizia personale - di cui egli, infermo, è sprovvisto -,
viene a sottrarsi alla giustizia di Dio 23,
e, nella sua superbia, rimane riprovato. Se però la legge rende l'uomo
prevaricatore, lo fa perché, ferito più gravemente, egli desideri il medico, e
in tal modo, come un pedagogo, conduce l'uomo alla grazia 24.
In contrasto con quell'attrattiva perniciosa per la quale riportava le sue
vittorie la concupiscenza, il Signore accorda allora una dolcezza salutare
che fa prevalere le attrattive della continenza. In tal modo la nostra terra
produce i suoi frutti 25:
quei frutti di cui si ciba il soldato di Cristo che, con l'aiuto di Dio,
debella il peccato.
Reagire alla concupiscenza.
3. 8. Per tali soldati
squillò la tromba apostolica, ed essi, al suono di queste parole, furono
infervorati a battaglia. Che il peccato - diceva - non abbia a
regnare nel vostro corpo mortale in modo che obbediate ai suoi desideri. Non
offrite le vostre membra, come armi d'ingiustizia, al peccato; ma offrite
voi stessi a Dio, come viventi, da morti che eravate. E le vostre membra
offritele a Dio come armi di giustizia. Il peccato allora non vi dominerà;
poiché voi non siete più sotto la legge ma sotto la grazia 26.
E altrove: Fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne, sì da dover
vivere secondo la carne. Difatti, se vivrete secondo la carne, morrete; mentre
se, in forza dello Spirito, farete morire le opere della carne, vivrete. Tutti
coloro infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio sono figli di Dio 27.
Attualmente dunque, cioè mentre rinati alla grazia abbiamo a durare nella
nostra vita mortale, il nostro compito consiste nell'impedire che il peccato,
cioè la concupiscenza peccaminosa (qui appunto chiamata peccato), domini da
tiranno nel nostro corpo mortale. La quale tirannia è in noi manifesta quando
ci si assoggetta alle sue voglie disordinate. Concludendo: esiste in noi una
concupiscenza peccaminosa, a cui non si deve dar modo di regnare; ci sono delle
voglie, nate da lei, a cui non si deve dar retta, perché non succeda che,
assecondandole, la concupiscenza diventi nostra padrona. Che delle nostre
membra non abbia, quindi, a servirsi la concupiscenza, ma le diriga la
continenza; e così siano armi di giustizia in mano a Dio e non armi di iniquità
al servizio del peccato. In questa maniera il peccato non spadroneggerà in noi.
Noi infatti non siamo sotto la legge, che prescrive il bene ma non lo dona, ma
siamo in regime di grazia: la quale, facendoci amare ciò che la legge
prescrive, può comandarcelo come a dei figli.
Le opere della carne e i frutti dello Spirito.
3. 9. Nelle altre parole
ci esorta a vivere non secondo la carne, per non morire, ma piuttosto a
mortificare le opere della carne, in modo da ottenere la vita. È una tromba che
squilla. Essa addita la guerra che infuria attorno a noi e ci infervora a
combattere da forti e a debellare i nostri nemici, perché non succeda che
veniamo messi a morte da loro. Quali poi siano questi nemici, lo indica assai
chiaramente, ordinandoci ancora di ucciderli. Essi sono le opere della carne.
Dice infatti: Mediante lo Spirito uccidete le opere della carne, e
conseguirete la vita 28.
E se vogliamo sapere quali siano queste opere, ascoltiamo lo stesso Apostolo
nella lettera ai Galati: È chiaro quali siano le opere della carne. Sono: la
fornicazione, l'impurità, la dissolutezza, l'idolatria, la magia, le
inimicizie, le contese, le gelosie, le ire, le discordie, le eresie, le
invidie, le ubriachezze, le gozzoviglie, ed altre cose simili. Riguardo a tali
cose vi avverto, come già vi ho avvertiti, che chi si dedica a tali opere non
possederà il regno di Dio 29.
Ciò dicendo, mostra ancora come lì sia la guerra, e con tromba celeste e
spirituale incita i soldati di Cristo a dare la morte a questi nemici. Poco
prima aveva detto: Io però vi dico così: Vivete secondo lo Spirito e non
vogliate soddisfare i desideri della carne. La carne infatti ha desideri
opposti a quelli dello Spirito, come anche lo Spirito ha desideri contrari a
quelli della carne. Essi sono in contrasto tra loro; sicché voi non potete fare
ciò che vorreste. Se però siete guidati dallo Spirito, non siete sotto la
legge 30.
Vuole pertanto che quanti sono rinati alla grazia sostengano questo
conflitto contro le opere della carne; e per indicare quali siano queste opere
della carne, aggiunge la serie sopra riferita: Le opere della carne - è
facile scoprirle - sono la fornicazione 31
e tutto il resto, tanto le altre che elenca subito appresso quanto quelle
che lascia sottintendere, specialmente nelle parole: e altre cose simili. Volendo
poi presentare in detta battaglia un'altra armata, di ordine, per così dire,
spirituale, in lotta contro quella specie di esercito carnale, soggiungeva: Frutto
dello Spirito sono la carità, la gioia, la pace, la pazienza, la benignità, la
bontà, la fedeltà, la dolcezza, la continenza. Contro virtù di questo genere
non c'è legge [che tenga] 32.
Non dice "contro queste", perché non si pensasse che siano esse sole
(per quanto anche se avesse detto così, avremmo potuto intendere tutti i valori
che rientrano in tali categorie); ma dice: Contro virtù di questo genere,
cioè contro queste e contro tutte le altre simili a queste. Nella serie dei
beni che ha ricordato, la continenza - di cui ci occupiamo nel presente
trattato e di cui già abbiamo detto parecchie cose - viene posta per ultima. È
perché vuole che essa resti, fra tutte, la più impressa nella nostra mente.
Difatti, nella guerra che lo spirito combatte contro la carne, essa è
d'importanza capitale, poiché è essa che, in certo qual modo, affigge alla
croce le concupiscenze carnali. Soggiungeva infatti l'Apostolo, dopo le
precedenti affermazioni: Quelli che appartengono a Gesù Cristo crocifiggono
la loro carne con le sue passioni e concupiscenze 33.
Ecco l'azione della continenza: mortificare le opere della carne. Le quali
opere carnali, viceversa, sono esse a infliggere la morte a quanti, credendosi
dispensati dalla continenza, si lasciano indurre dalla concupiscenza a
consentire e a tradurre in atto le opere del male.
Guardarsi dalla presunzione.
4. 10. Per evitare
cedimenti in fatto di continenza, dobbiamo stare in guardia contro le insidie e
le suggestioni del diavolo, evitando soprattutto di presumere delle nostre
forze. Poiché maledetto l'uomo che ripone nell'uomo la sua speranza 34.
E chi è ciascuno se non un uomo? Non si può quindi riporre la propria
fiducia in se stessi e dire che non la si pone in un uomo. Orbene, se il vivere
in conformità alla propria natura umana è vivere secondo la carne, chiunque
venga allettato a seguire le lusinghe della passione, ascolti e, se gli è
rimasto un po' di senso cristiano, si spaventi. Ascolti, ripeto: Se vivrete
secondo la carne, morrete 35.
Non camminare secondo la carne.
4. 11. Qualcuno potrebbe
obiettarmi che una cosa è vivere secondo l'uomo, e un'altra secondo la carne.
L'uomo infatti è una creatura razionale e in lui c'è un'anima razionale per la
quale si differen-zia dal bruto, mentre la carne è la sua parte inferiore e
terrena. Per cui vivere secondo la carne è, sì, vizioso; ma colui che vive
secondo l'uomo non vivrebbe secondo la carne, ma piuttosto secondo quella parte
della sua umanità per la quale è un uomo, cioè secondo lo spirito e la ragione,
che lo fanno superiore ai bruti. Un tal modo d'argomentare vale, forse,
qualcosa nell'ambito delle scuole filosofiche; ma noi, per comprendere
l'Apostolo di Cristo, dobbiamo investigare quale sia il modo di esprimersi dei
nostri libri cristiani. È certamente articolo di fede, per tutti noi che in
Cristo abbiamo la vita, che il Verbo di Dio assunse l'umanità non priva
dell'anima razionale (come pretendono certi eretici); eppure leggiamo: Il
Verbo si fece carne ed abitò tra noi 36,
in un passo come questo, cosa bisognerà intendere per carne se non l'uomo? E
vedrà ogni carne la salvezza di Dio 37,
cosa intendere anche qui se non ogni uomo? Verrà a te ogni carne 38,
che cosa significa se non ogni uomo? Hai dato a lui il potere su ogni
carne 39
su che cosa se non su tutti gli uomini? Mediante le opere della legge non
sarà resa giusta alcuna carne 40,
cosa vuol dire se non che nessun uomo verrà giustificato? Idea che lo stesso
Apostolo esprime più chiaramente in un altro passo dove dice: Dalle opere
della leg-ge l'uomo non viene giustificato 41.
Parimenti, quando rimprovera i Corinzi dice loro: Ma non siete voi delle
persone carnali e vi comportate da uomini? 42.
Li chiama persone carnali, e nel precisare, non ripete: "Voi vi
regolate secondo la carne" ma come uomini. Vuol dire che la frase da
uomini equivale a secondo la carne. Che se, al contrario,
comportarsi o vivere secondo la carne fosse colpa, e vivere secondo l'uomo
fosse un pregio, non direbbe in tono di rimprovero: vi comportate da uomini.
Si riconosca, quindi, il rimprovero; si muti il proposito; si eviti la
rovina. Ascolta, o uomo: non comportarti secondo l'uomo, ma conforme ai voleri
di colui che fece l'uomo. Non allontanarti da chi ti ha creato, fosse anche per
ripiegarti su di te. Ci fu infatti un uomo, che non viveva a livello di uomo,
il quale diceva: Non siamo in grado di pensare alcunché da noi stessi, in
base alle nostre risorse, ma ogni nostra riuscita è da Dio 43.
Vedi un po' se vive da uomo [decaduto] colui che, con tanta verità, afferma
queste cose. Avvertendo, dunque, l'uomo a non vivere da [semplice] uomo,
l'Apostolo restituisce l'uomo a Dio. Che se uno non vive secondo l'uomo, ma
secondo Dio, certo non vive più per se stesso, perché anche egli è un uomo.
Tuttavia anche di uno che così vive si dice che vive secondo la carne, perché,
anche se viene menzionata solo la carne, si intende tutto l'uomo, come abbiamo
dimostrato. Proprio come quando si menziona solo l'anima, e si intende tutto
l'uomo. Per cui sia scritto: Ogni anima sia soggetta ai poteri più
elevati 44,
e questo vuol dire: Ogni uomo sia soggetto. E ancora: Settantacinque anime
discesero in Egitto insieme a Giacobbe 45:
significa settantacinque persone. Non voler, dunque, o uomo, vivere secondo la
tua natura. Ciò facendo ti eri rovinato, ma sei stato recuperato. Non vivere -
ripeto - secondo quell'essere che sei tu: così facendo ti eri smarrito, ma sei
stato ritrovato. Non prendertela contro la tua umanità, quando senti le parole:
Se vivrete secondo la carne, morrete 46.
Avrebbe potuto dire, e dirlo con la massima esattezza: Se condurrete una
vita secondo la vostra natura di uomini, morrete. Il diavolo infatti non ha
carne, eppure, avendo voluto vivere secondo la sua natura, non rimase nella
verità 47.
Che sorpresa, allora, se egli vivendo in conformità della sua natura, quando
suggerisce menzogne, parla di quello che ha di proprio 48?
È una verità asserita nei suoi riguardi da colui che è la Verità.
Diffidenza di sé.
5. 12. Ascolta le
parole: Il peccato non domini in voi 49,
e non fidarti di te stesso. Così il peccato non verrà a dominarti. Fidati
piuttosto di colui al quale un santo rivolgeva la preghiera: Indirizza il
mio camminare in conformità alle tue parole; e non venga a soggiogarmi alcuna
iniquità 50.
Difatti, per evitare che, inorgogliti dalle parole: Il peccato non vi
tiranneggi, attribuissimo a noi stessi questo risultato, l'Apostolo,
proprio in vista di ciò, soggiunse: Voi non siete sotto la legge ma sotto la
grazia 51.
È dunque la grazia che impedisce al peccato di dominare su di te. Non
poggiare la tua fiducia su te stesso, perché non si consolidi maggiormente su
di te il dominio del peccato. Ugualmente, quando sentiamo dirci: Se mediante
lo Spirito mortificherete le opere carnali, avrete la vita 52,
non dobbiamo attribuire un bene così grande alle forze del nostro spirito,
quasi che esso, da solo, abbia tali risorse. Non accettiamo questo senso
carnale, che ci darebbe uno spirito morto esso stesso e non in grado di dare la
morte alla carne. Ce lo dice subito appresso: Quanti sono mossi dallo
Spirito di Dio, sono figli di Dio 53.
È, dunque, lo Spirito di Dio quello che ci muove a mortificare col nostro
spirito le opere della carne. Egli dà la continenza, mediante la quale
riusciamo a frenare, a domare e a vincere la concupiscenza.
Le ferite del peccato.
5. 13. È una grande
lotta quella in cui vive l'uomo rinato alla grazia, e, quando con l'aiuto
divino riesce a combattere bene, esperimenta nel Signore una trepida esultanza.
Tuttavia, anche ai combattenti più gagliardi e a quanti con animo indomito
mortificano le opere della carne, non mancano ferite, loro inferte dal peccato.
Sono le ferite per la cui guarigione ogni giorno supplichiamo con verità: Rimetti
a noi i nostri debiti 54.
Contro questi vizi e contro il diavolo, principe e sovrano dei vizi, si ha
da ingaggiare, mediante l'orazione, una lotta molto accorta e accanita,
affinché certe sue perniciose suggestioni non abbiano a spuntarla. Dico delle
tentazioni che, oltre tutto, inclinano il peccatore a scusare, non ad accusare,
le proprie colpe: per cui le ferite non solo non guariscono ma, anche se prima
non erano mortali, divengono più gravi e danno la morte. È questo un campo in
cui occorre una continenza veramente rigorosa. Essa deve essere in grado di
frenare la smania boriosa per la quale l'uomo vuol piacere a se stesso e non
riconoscersi colpevole, e, anche se è in peccato, rifiuta di ammettere che è
stato lui a peccare. Non si decide ad accusare se stesso con quell'umiltà che
lo salverebbe; ma mosso dall'orgoglio cerca piuttosto di scusarsi, e così va in
rovina. Per arginare quest'orgoglio, chiedeva quel tale al Signore il dono
della continenza: quel tale di cui sopra ho riferito le parole, commentandole
come ho potuto. Aveva infatti esclamato: Poni, o Signore, una custodia alla
mia bocca, una porta - la continenza - sulle mie labbra. Non permettere che il
mio cuore pieghi verso parole maligne; ma, per farci meglio comprendere a
che cosa si riferiva, soggiunse: che non avanzi scuse di fronte ai
peccati 55.
Cosa, infatti, può esserci di più perverso delle parole con le quali il
colpevole, convinto dell'azione cattiva che non può negare, rifiuta di
riconoscersi colpevole? E, siccome non può nascondere il fatto né può chiamarlo
azione onesta, e d'altra parte si rende conto che a tutti è noto chi ne sia
l'autore, si ingegna di riversare su un altro la responsabilità dell'accaduto:
quasi che, ciò facendo, possa evitarne la responsabilità. Col non riconoscersi
reo, aumenta piuttosto la sua colpa; e non comprende che, scusando i propri
peccati, invece di accusarli, non si scrolla di dosso la pena ma ne ostacola il
perdono. Presso i giudici umani, soggetti come sono a sbagliare, se uno anche
con menzogne riesce a scolparsi del male commesso, può conseguirne un qualche
momentaneo vantaggio. Ma Dio non può essere tratto in inganno, e quindi non è
il caso di ricorrere a false difese ma piuttosto alla sincera confessione dei
peccati.
Cause esterne di peccato e responsabilità personale.
5. 14.
C'è della gente che, per scusarsi dei peccati, se la
prendono col destino, quasi che sia stato lui a spingerli al male, o con le
stelle, dove il male sarebbe stato determinato. Il primo a peccare sarebbe
stato, quindi, il cielo, perché ha stabilito un ordine per il quale, in un
secondo momento, l'uomo pecca traducendo in atto quei decreti. Altri
preferiscono ascrivere alla sorte i loro peccati: credono che ogni cosa sia
mossa dal cieco fato, ma, quanto alla loro scienza e alle loro asserzioni, lì
sono duri a sostenere che non è questione di caso o di sorte ma di motivi
controllati. Ma quale balordaggine non è mai quella di attribuire alla ragione
le proprie argomentazioni, e voler attribuire le proprie azioni ai capricci
della sorte? Altri riversano sul diavolo la responsabilità di tutto ciò che
fanno di male, né vogliono ammettere che, insieme con lui, anche loro hanno almeno
una parte di colpa. Invece, anche quando si può sospettare che lui abbia spinto
al male con suggestioni occulte, non si può mettere in dubbio che il consenso a
tali suggestioni, da qualunque parte provenienti, sono stati loro a darlo. Ce
ne sono anche di quelli che, pur di scusarsi, giungono ad accusare Dio. Miseri,
in riferimento al giudizio divino che li attende; blasfemi, in riferimento al
furore che li anima. In opposizione a lui, essi suppongono nell'uomo una
sostanza del male, originata da un principio contrario e in continuo stato di
ribellione. A questo principio ribelle, Dio non avrebbe potuto resistere, se
non gli avesse abbandonato una porzione della sua propria sostanza e natura,
affinché, mescolandosi con esso, venisse contaminata e corrotta. Il peccato -
dicono essi - avviene quando in essi la natura del male prende il sopravvento
sulla natura di Dio. È, questa, la turpissima follia dei manichei, i cui
artifizi diabolici vengono molto facilmente infranti dalla verità, da tutti
ammessa, che ritene essere la natura di Dio esente da ogni contaminazione e
corruzione. Ma quale scellerata contaminazione e corruzione non si ha diritto
di supporre in questa gente, che si immagina corruttibile e soggetto a
contaminazione Dio stesso che è l'essere sommamente e incomparabilmente buono?
Dio abomina il peccato, anche se lo permette.
6. 15. Ci sono di quelli
che, volendo scusare i loro peccati, ne accusano Dio, dicendo persino che egli
trova gusto nel peccato. Se gli dispiacesse - dicono -, onnipotente com'è, non
permetterebbe in alcun modo il peccato. Quasi che Dio lasci impunite le colpe.
E questo, in quegli stessi che, avendoli perdonati, libera dal castigo eterno.
Non c'è infatti alcuno cui venga condonata una pena grave che gli era dovuta, e
che non abbia a scontare un'altra pena, per quanto assai più leggera di quella
che s'era meritata. E se Dio dispensa con larghezza la sua misericordia, lo fa
a patto che non vengano trascurate le esigenze della sua giustizia. Anche il
peccato che sembra rimanere impunito è accompagnato, come da un'ancella, dalla
pena: di modo che tutti ci si debba dispiacere amaramente delle colpe commesse
o, se non ci si dispiace, è questione di cecità. E allora, se tu mi dici:
"Perché permette certe cose, se gli dispiacciono?", io ti replico:
"Come fa a punirle, se gli piacciono?". Ne segue che, come io ammetto
che nessun peccato accadrebbe se Dio nella sua onnipotenza non lo permettesse,
così anche tu devi ammettere che i peccati non si debbono fare, se Dio nella
sua giustizia li punisce. Evitando di fare ciò che egli punisce, potremo
meritarci di conoscere perché egli permetta ciò che poi punisce. Il cibo
solido è - dice la
Scrittura - degli uomini perfetti 56.
E coloro che hanno fatto progressi in questa via, già comprendono come
rientri nello stile dell'onnipotenza divina il permettere che ci siano dei
mali, derivanti dal libero arbitrio della volontà. È infatti così grande la sua
onnipotenza e bontà che può trarre il bene anche dal male : o perdonandolo, o
guarendolo, ovvero ordinandolo e volgendolo in bene per le persone fedeli, o
anche castigandolo con somma giustizia. Tutti questi interventi sono buoni e
degnissimi di un Dio buono e onnipotente; eppure non ci sarebbero se non ci
fosse il male. Cosa dunque c'è di più buono, cosa di più onnipotente di colui
che, mentre non compie alcun male, ricava il bene anche dal male? Coloro che
hanno commesso il male gridano a lui: Rimetti a noi i nostri debiti 57.
Egli li ascolta e li perdona. Peccando, s'erano fatti del male; Dio li soccorre
e porta rimedio al loro male. I nemici infieriscono sugli amici di Dio. Dio,
attraverso la loro crudeltà, forma i martiri. Alla fine poi condanna quelli che
giudica degni di castigo: essi gemono nel proprio male, Dio tuttavia fa una
cosa buona. Ogni cosa giusta è, infatti, anche buona; e certamente, com'è
ingiustizia il peccato, così è cosa giusta la punizione del peccato.
L'uomo attende l'impeccabilità.
6. 16. Non mancava a Dio
il potere di creare l'uomo con la prerogativa di non poter peccare, ma egli
preferì crearlo tale che, se avesse voluto, gli fosse permesso di peccare e, se
non avesse voluto, fosse potuto restare senza peccato. Gli proibì pertanto il
peccato e gli prescrisse di non peccare, affinché conseguisse, in un primo
tempo, il merito di non aver peccato, e poi, come giusto premio, gli fosse
accordato di non poter peccare. Egli infatti alla fine renderà i suoi santi
tali che non possano assolutamente peccare, come sono adesso gli angeli di Dio.
E noi, questi angeli, li amiamo nel Signore, e siamo certi che nessuno di loro
col peccato diventerà diavolo. Quanto agli uomini, invece, per quanto giusti,
noi di nessuno presumiamo una tal cosa finché resta in questa vita mortale, ma
ce l'attendiamo tutti per la vita immortale. Dio onnipotente, che sa ricavare
il bene anche mediante i nostri mali, quali beni non saprà darci, quando ci
avrà liberati da tutti i mali? Si potrebbero sviluppare trattazioni più ampie e
più sottili sul valore e le finalità del male; ma non è questo il tema del
presente opuscolo; e poi bisogna stare attenti che non divenga troppo prolisso.
Continenza e giustizia.
7. 17. Ritorniamo al
tema che ci ha spinti alla presente digressione. Noi abbiamo bisogno della
continenza e riconosciamo che essa è un dono di Dio, mediante il quale il
nostro cuore non si lascia andare a parole maliziose volendo scusare i peccati.
Della continenza abbiamo bisogno per trattenerci da ogni sorta di peccati e non
commetterli. Per suo mezzo ugualmente, qualora il peccato sia stato commesso,
ci asteniamo dal difenderlo con micidiale superbia. In ogni maniera, dunque, è
necessaria la continenza se vogliamo evitare il male. Fare il bene, invece,
sembra esser compito di un'altra virtù, la giustizia, come ci inculca il santo
salmo dove leggiamo: Allontànati dal male e fa' il bene. E soggiunge
anche il fine per cui lo dobbiamo fare: Ricerca la pace e mettiti sulle sue
orme 58.
Ma la pace perfetta la conquisteremo solo quando la nostra natura sarà unita
inseparabilmente al suo Creatore e in noi non ci sarà niente che si ribelli
contro di noi. È - per quanto mi è dato capire - quanto volle inculcare il
nostro Salvatore allorché disse: I vostri fianchi siano cinti e le vostre
lampade accese 59.
Cosa vuol dire cingere i fianchi? Tenere a freno le passioni sregolate: e
questo è compito della continenza. Avere le lampade accese vuol dire invece
splendere ed essere fervorosi nelle opere buone: e questo è compito della
giustizia. Né volle passare sotto silenzio il fine per cui dobbiamo agire così,
ma soggiunse: Siate simili a quelle persone che stanno in attesa del
padrone, finché non ritorni dalle nozze 60.
Quando egli verrà, ci ricompenserà per esserci frenati in quello che la
passione suggeriva e per aver compiuto quel che la carità ordinava. Regneremo
allora nella sua pace perfetta ed eterna, né avremo più da lottare col male ma
godremo sommamente nella gioia del bene.
Buona la natura, per quanto inferma.
7. 18. Noi crediamo in
Dio vivo e vero, la cui natura è sommamente buona e immutabile, incapace di
fare il male e di riceverne. Da lui deriva ogni bene, anche quello che è
soggetto a diminuzioni, mentre in quel bene che è la sua stessa essenza
diminuzioni non possono esserci. Convinti di questo, ascoltiamo rettamente le
parole dell'Apostolo: Regolatevi secondo lo spirito e non vogliate
soddisfare i desideri della carne. La carne infatti ha desideri opposti a
quelli dello spirito e lo spirito desideri opposti a quelli della carne. Essi
sono in contrasto fra loro, di modo che voi non non potete fare quello che
vorreste 61.
Non crediamo assolutamente a quello che sostengono pazzescamente i
manichei, che cioè in questo passo si presentino due nature, una del bene e
l'altra del male, in lotta fra loro per via dei loro principi opposti. Sono -
queste due realtà - assolutamente buone, l'una e l'altra: buono lo spirito,
buona la carne. E buono è anche l'uomo, che risulta delle due sostanze, l'una
che comanda, l'altra che sta soggetta, anche se egli è mutevole nella sua
bontà. Autore del tutto, poi, non potrebbe essere se non quell'Uno che è
immutabile nella bontà. È lui che ha creato buona ogni cosa tanto se piccola
come se grande. Se essa è piccola, chi l'ha tratta all'esistenza è grande. Se è
grande, non è certo da paragonarsi in alcun modo con la grandezza del Creatore.
Tuttavia in questa natura dell'uomo, sebbene buona e creata rettamente e
convenientemente strutturata da quell'Uno che è buono, attualmente esiste una
guerra, poiché non ha ancora conseguito la salute. Guarita l'infermità, ci sarà
la pace; e mi riferisco all'infermità causata dalla colpa, non affermo che essa
sia congenita nella natura. Questa colpa è stata, sì, rimessa ai fedeli quando
per grazia di Dio sono stati lavati a rigenerazione; ma, sebbene in mano al
medico, la natura ha ancora da combattere con le proprie malattie. In tale
combattimento la salute verrà con la vittoria completa: non una salute
temporanea ma eterna. Là avrà fine il presente languore, né alcun altro ne
sorgerà. Da ciò si spiega l'apostrofe che il giusto rivolge alla sua anima: Benedici,
anima mia, il Signore, e non scordarti dei tanti suoi benefici. Egli perdona
tutte le tue colpe, risana tutte le tue infermità 62.
È propizio alle iniquità, quando rimette i peccati; sana le malattie,
quando raffrena i cattivi desideri. È propizio alle iniquità, quando accorda il
perdono; risana le malattie, quando concede la continenza. Il primo dono ci
venne accordato nel battesimo, quando confessammo il suo Nome; l'altro ci si
concede mentre combattiamo nell'arena, quando, sorretti dal suo aiuto, ci
impegniamo a vincere la nostra malattia. Ogni giorno, anzi, ci si concedono i
due doni: il primo quando viene esaudita l'invocazione: Rimetti a noi i
nostri debiti; il secondo quando Dio ascolta le altre parole: Non ci
esporre alla tentazione 63.
Difatti, ognuno è tentato - secondo quel che dice l'apostolo san Giacomo
- perché fuorviato e sedotto dalla sua concupiscenza 64:
vizio per il quale si implora l'aiuto e la medicina da colui che è in grado di guarire
tutti i languori spirituali. Egli non strappa da noi la nostra natura, quasi
che sia estranea a noi, ma la rimette in ordine. Ragion per cui il citato
apostolo non dice: Ognuno è tentato dalla concupiscenza, ma precisa: dalla
sua. E allora, ascoltando queste parole, impariamo a supplicare: Io
esclamo: Signore, abbi pietà di me; risana l'anima mia, perché ho peccato
contro di te 65.
Non avrebbe infatti - l'anima - avuto bisogno d'essere guarita, se peccando
non si fosse viziata. E il vizio sta in questo: che la carnalità avanza
desideri contrastanti con quelli dello spirito. Cioè: l'anima, per la parte che
è diventata inferma e asservita alla carnalità, sta in guerra con se stessa.
Amare la carne combattendone i vizi.
8. 19. La carne non
avanza desideri se non attraverso l'anima; e se si dice della carne che è in
contrasto con lo spirito, lo si dice in quanto l'anima, dietro la spinta della
concupiscenza carnale, si ribella allo spirito. Tutto questo siamo noi; e di
noi la parte inferiore è la carne, quella carne che muore quando l'anima se ne
separa: non nel senso che la abbandona come cosa da fuggirsi, ma solamente la
lascia da parte per un certo tempo per poi riassumerla e, una volta ripresala,
non abbandonarla mai più. Si semina un corpo animale; risorgerà un corpo
spirituale 66.
Allora la carne non nutrirà voglie contrarie a quelle dello spirito, ma
meriterà anche lei il nome di sostanza spirituale. Sarà sottomessa allo spirito
senza ribellarglisi, e sarà dotata d'una vita eterna, esente da ogni bisogno di
alimento materiale. Attualmente, però, questi due elementi, che poi siamo noi
stessi, sono in contrasto fra loro; e bisogna pregare e lavorare perché si
mettano d'accordo. Non dobbiamo pensare che uno dei due sia nostro nemico, ma,
se la carne avanza desideri contro lo spirito, dipende dal vizio. Quando questo
vizio sarà guarito, cesserà anche di esistere, e le due sostanze saranno salve
e ogni contrasto verrà abolito. Prestiamo ascolto all'Apostolo: So -
dice - che non abita in me, cioè nella mia carne, il bene 67.
Questo, senza dubbio, perché la viziosità della carne, anche se subiettata in
una realtà buona, non è un bene. Quando poi cesserà il vizio, resterà
ugualmente la carne, ma non sarà più né viziata né viziosa. Essa comunque fa
sempre parte della nostra natura: come dice san Paolo: So che non abita in
me il bene, aggiungendo, a scopo di precisazione: In me, vale a
dire: Nella mia carne. Se stesso e carne sua significano la
stessa cosa. In se stessa, dunque, la carne non è nostra nemica; e quando
opponiamo resistenza ai suoi vizi, dimostriamo amore per lei, poiché la
vogliamo curare. Nessuno, infatti - dice ancora l'Apostolo -, ha mai
avuto in odio la sua propria carne 68.
Come in un altro passo dice ancora: Pertanto io stesso con la mente
servo alla legge di Dio, ma con la carne alla legge del peccato 69.
Lo ascoltino quanti hanno orecchi: io stesso. Io per la mente, io
per la carne. Solo che nella mente servo alla legge di Dio, mentre nella carne
servo alla legge del peccato. In che modo, con la carne servo alla legge del
peccato? Forse consentendo alla concupiscenza carnale? Certo no. Si dice
servo, in quanto nella carne ha da sostenere certi moti e appetiti che non
avrebbe voluto avere, eppure aveva. Negando ad essi il consenso, serviva con la
mente alla legge di Dio, e teneva in suo dominio le membra perché non
divenissero armi di peccato.
La lotta avrà fine.
8. 20. Ci sono dunque in
noi dei desideri cattivi, ai quali, se non consentiamo, non viviamo malamente.
Ci sono delle voglie peccaminose, alle quali, finché non diamo retta, non commettiamo
il male; ma pure, per il solo fatto d'averle non raggiungiamo la perfezione del
bene. L'Apostolo precisa le due cose: che non si è perfetti nel bene finché
esistono in noi desideri di male; che non si commette il male finché si resiste
a tali desideri. La prima cosa, la sottolinea là dove dice: Mi riesce di
volere il bene, ma non di realizzarlo in pieno 70;
la seconda, in quell'altro passo: Camminate secondo lo spirito, e non
traducete in atto le voglie della carne 71.
Non dice, in quel primo passo, che non gli riesce di fare il bene ma di
realizzarlo in pieno. Né in quell'altro proibisce di avere le passioni
carnali, ma di attuarle con opere. Le passioni cattive agiscono in
noi tutte le volte che esperimentiamo un piacere per cose illecite, ma non si
traducono in atto se la mente, al servizio della legge di Dio, riesce a frenare
questi appetiti disordinati. E così anche il bene: lo si compie, in qualche
modo, tutte le volte che, docili all'attrattiva del bene, neghiamo il consenso
al piacere sregolato. La perfezione del bene, tuttavia, non la si raggiunge
finché la carne rimane al servizio del peccato, si lascia lusingare dal piacere
disordinato, e, sebbene tenuta a freno, tuttavia si muove verso l'illecito. Non
ci sarebbe infatti bisogno di frenarla se non si muovesse. Verrà una buona
volta questa perfezione del bene, e allora sarà abolito ogni male. Quello sarà
sommo; questo totalmente scomparso. Ma queste cose, se ce le aspettiamo per la
vita presente e mortale, ci inganniamo: saranno per quando non ci sarà più la
morte e, quanto al luogo, saranno là dove la vita sarà eterna. Difatti in
quell'eternità e in quel regno il bene sarà assoluto e il male non esisterà in
alcun modo. E sarà, allora, sommo l'amore per la sapienza, e non ci sarà più il
dovere penoso della continenza. Non è dunque cattiva la nostra carne; basta che
sia sottratta al potere del male, cioè ai vizi che hanno deteriorato l'uomo: il
quale non fu creato malamente ma si causò il proprio male. Per l'un elemento e
per l'altro, cioè quanto all'anima e quanto al corpo, l'uomo fu creato buono e
da un Dio buono; fu lui stesso a rendersi cattivo commettendo il male. E
sebbene mediante il perdono sia stato già liberato dal reato della colpa
originale, gli resta tuttavia da lottare mediante la continenza contro i suoi
vizi, perché si convinca che non fu colpa leggera quella che commise. Quanto
poi a coloro che regnano nella pace che ha da venire, impossibile pensare che
abbiano a lottare coi vizi. Non potrebbe essere altrimenti, poiché, nella
guerra che quaggiù si combatte dai proficienti, ogni giorno si riducono non
solo i peccati ma anche le passioni sregolate. E la lotta sta proprio nel
negare loro il consenso, mentre si commette peccato quando loro si consente.
Decaduti colpevolmente, risollevati gratuitamente.
8. 21. Se dunque la
carne nutre desideri contrari a quelli dello spirito, se nella nostra carne non
risiede il bene, se nelle nostre membra c'è una legge che si oppone alla legge
della ragione, non dipende dal fatto che è avvenuta in noi una mescolanza di
due nature originate da principi contrari. Si tratta piuttosto di una frattura
e di un conflitto dell'unica natura contro se stessa, causati dal peccato.
Difatti noi non eravamo così in Adamo prima che la natura, prestando ascolto e
seguendo i suggerimenti del nemico ingannatore, avesse disprezzato e offeso il
suo Creatore. Non è questa la vita che l'uomo condusse in principio quando fu
creato, ma una punizione che successivamente fu inflitta al peccatore. Da
questa condanna si è stati liberati mediante la grazia di Gesù Cristo e si è
divenuti liberi. Tuttavia bisogna lottare contro la punizione inflittaci, non
essendo ancora completa la salute ma avendone ricevuto soltanto una caparra.
Quanto a quelli, poi, che non sono stati liberati, sono rei di peccato e
soggetti al castigo. Dopo la vita presente, ai colpevoli è riservata, per la
colpa, una pena che durerà in eterno. Chi invece avrà conseguito la libertà
sarà per sempre esente e dalla colpa e dalla pena. Comunque esisteranno per
tutta l'eternità le due sostanze, in sé buone, lo spirito e la carne: sostanze
che Dio, buono e immutabile, aveva creato buone, per quanto soggette a
mutamenti. Resteranno per sempre, cambiate in meglio, né mai più suscettibili
di decadere in peggio. Ogni male sarà eliminato, tanto quello che l'uomo aveva
commesso per sua colpa, tanto quello che aveva subìto per giusto castigo.
Scomparse totalmente queste due sorte di mali, e quella della colpa, che
precede, e l'altra dell'infelicità, che consegue, la volontà dell'uomo godrà di
perfetta rettitudine, né sarà viziata da sbandamenti. Sarà chiaro ed evidente a
tutti ciò che adesso la maggior parte dei fedeli ammette per fede e solo pochi
comprendono: cioè che il male non è una sostanza. Esso cominciò ad esistere a
causa di una infrazione originaria in una natura che per sua colpa si era viziata;
e fu come una piaga aperta nel corpo. Cesserà di esistere quando la salute sarà
perfetta. Quando dunque tutto il male che ha avuto origine da noi sarà stato
eliminato da noi, quando il bene sarà aumentato in noi fino a divenire perfetto
e raggiungere il vertice dell'incorruzione, dell'immortalità e della felicità,
in che condizione si troverà allora la nostra duplice sostanza? Anche adesso,
infatti, pur nella condizione di esseri corruttibili e mortali, quando ancora il
corpo corruttibile appesantisce l'anima 72
e, come si esprime l'Apostolo, quando il corpo è preda di morte a causa
del peccato 73,
tuttavia vale la testimonianza che egli dà alla nostra carne - cioè alla nostra
parte infima e terrena - quando dice (come sopra ricordato) che nessuno ha
mai avuto odio per la sua carne. E soggiunge: ma la nutre e ne ha
cura, come Cristo fa con la
Chiesa 74.
La Bibbia
confonde i manichei.
9. 22. Quale, dunque,
non è mai l'accecamento - che dico? -, l'insania dei manichei, che fanno derivare
la nostra carne da non so quale favolosa genia, che avrebbe avuto da sempre,
cioè al di là di ogni inizio, una natura cattiva! Contro di loro un autorevole
maestro di verità esorta i mariti ad amare le proprie mogli come la propria
carne, e corrobora l'esortazione con l'esempio di Cristo e della Chiesa. È
opportuno riferire per intero il passo dell'epistola di san Paolo poiché è
molto pertinente al nostro tema. Dice: Voi, mariti, amate le vostre mogli,
come Cristo ha amato la Chiesa
ed ha sacrificato se stesso per lei, per santificarla, purificandola col
lavacro dell'acqua in forza della parola, affinché egli potesse presentare a se
stesso gloriosa la Chiesa,
senza macchia o ruga o altro di simile, ma perché fosse santa ed immacolata.
Così - diceva - i mariti devono amare le loro mogli, come i loro propri
corpi. Chi ama la propria moglie, ama se stesso 75.
E subito dopo soggiunge le parole che abbiamo citato: Nessuno infatti ha
mai odiato la propria carne, ma la nutre e ne ha cura, come fa Cristo con la Chiesa 76.
Cosa insegna, di fronte a questo, la pazzia di questa sporca ed empia
setta? Cosa insegnate, o manichei, di fronte a queste dottrine? Voi cercate di
cacciare in noi due sostanze eterne, una del bene e una del male, e ciò lo
ricavereste, o quasi, dalle lettere degli Apostoli! Perché allora ricusate
d'ascoltare le stesse lettere degli Apostoli, quando vi obbligano a ritrattare
la vostra sacrilega aberrazione? Come infatti leggete: La carne ha delle
brame contrarie a quelle dello spirito 77
e: Nella mia carne non ha dimora il bene 78,
così leggete: Nessuno ha mai avuto in odio la propria carne, ma la nutre e
la protegge, come fa Cristo con la
Chiesa 79.
Come leggete: Vedo nelle mie membra un'altra legge, in contrasto con la
legge della mia ragione 80,
così anche leggete: Come Cristo amò la Chiesa, così anche i mariti debbono amare le
proprie mogli, come il proprio corpo 81.
Non dovete cavillare sul senso delle prime testimonianze, né chiudere gli
orecchi alle seconde: in tal modo le une e le altre vi gioveranno a
ravvedimento. Se infatti intenderete come si conviene le seconde, riuscirete
mediante lo sforzo a capire nel vero senso anche le prime.
L'esatta dottrina di san Paolo.
9. 23.
L'Apostolo ci invita ad osservare tre coppie (se si
possono chiamare così): Cristo e la
Chiesa, il marito e la moglie, lo spirito e la carne. In ogni
coppia, il primo nominato provvede al bene del secondo; il secondo sta soggetto
al primo. Tutti sono buoni, purché fra loro rispettino a dovere l'ordine e
l'armonia: gli uni nel presiedere con dignità, gli altri nello stare soggetti
con decoro. Quanto al marito e alla moglie, e come debbano comportarsi l'uno
con l'altra, si danno loro il precetto e l'esempio. Ecco il precetto: Le
mogli siano soggette al proprio marito, come al Signore, perché l'uomo è il
capo della donna 82;
e, analogamente: Mariti, amate le vostre mogli 83.
L'esempio poi viene tratto, per le mogli, dalla Chiesa; per i mariti, da
Cristo. Dice: Come la Chiesa
è soggetta a Cristo, così anche le mogli al proprio marito, in tutte le
cose 84.
Parimenti, avendo dato ai mariti l'ordine di amare le proprie mogli, ne
aggiunge anche il paragone: Come Cristo ha amato la Chiesa 85.
Quanto ai mariti, per esortarli volle prendere lo spunto anche da una
realtà inferiore, qual è il loro corpo, e non soltanto da una realtà superiore,
cioè dal loro Signore. Non disse infatti solamente: Mariti, amate le vostre
mogli come Cristo ha amato la
Chiesa - esemplificando da un essere superiore -, ma
disse: I mariti debbono amare le proprie mogli come il proprio corpo 86,
esemplificando da un oggetto inferiore. Tanto è vero che gli esseri, superiori
o inferiori, sono tutti buoni. Alla donna non fu presentato l'esempio del corpo
o della carne, perché fosse soggetta al marito come la carne è soggetta allo
spirito. Forse l'Apostolo volle lasciare a noi il compito di trarre la
conseguenza che egli aveva omesso; o, forse, non credette opportuno prendere lui
stesso dalla carne l'esempio della soggezione da proporsi all'imitazione delle
mogli, per il fatto che, in questa vita mortale e malandata la carne è nelle
sue tendenze in contrasto con lo spirito. Quanto agli uomini, lasciò passare
l'esempio, perché, sebbene lo spirito nutra desideri contrari alla carne, ciò
fa per il bene della carne: né è come la carne, la quale, con i desideri che
avanza contro lo spirito, non mira né al bene dello spirito né a quello di se
stessa. Quanto allo spirito buono, non farebbe del bene alla carne, tanto col
nutrirla e curarne con preveggenza le esigenze naturali, quanto col resistere
mediante la continenza ai vizi di lei, se, anche attraverso l'ordine e
l'armonia che si stabilisce fra l'una e l'altra realtà, non risultasse evidente
che di tutt'e due l'unico artefice è Dio. Come fate, dunque, voi, a vantarvi
d'esser cristiani, se, con tanta perversione, a occhi chiusi - o meglio, guasti
- vi ostinate contro le Scritture cristiane? È, la vostra, una vera pazzia.
Come fate a dire che Cristo apparve fra gli uomini con una carne falsa, e che la Chiesa con l'anima
appartiene a Cristo mentre, quanto ai corpi, appartiene al diavolo, e che il
sesso, maschile e femminile, è opera del diavolo e non di Dio, e che la carne è
unita allo spirito come una sostanza cattiva a una sostanza buona?
Le contraddizioni del manicheismo.
10. 24. Se i brani delle
lettere apostoliche già citati vi sembrano insufficienti, ascoltatene ancora
altri, se avete orecchi! Cosa dice quel pazzo furioso di Manicheo a proposito
della carne di Cristo? Che non fu vera carne ma solo apparente. Cosa insegna
invece il santo Apostolo? Ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di Davide,
risuscitò di tra i morti, in conformità col mio Vangelo 87.
E lo stesso Gesù Cristo ebbe a dire: Palpatemi, e persuadetevi che lo
spirito non ha carne né ossa, come vedete che ho io 88.
Potrà esserci la verità nel loro insegnamento, se predicano che nella carne di
Cristo c'era il trucco? Come faranno a dire che in Cristo non c'era alcun male,
se c'era un inganno così grande? Ma per questi uomini, troppo puri, è un male
avere la carne vera, mentre non è male presentare come vera una carne fittizia.
È un male, per uno che nasce dalla stirpe di Davide, avere una vera carne, e
non è male dire con lingua menzognera: Palpatemi, e persuadetevi: lo spirito
non ha ossa né carne, come vedete che ho io! 89.
E riguardo alla Chiesa, cosa asserisce quel falsario al fine di attirare la
gente nel suo errore fatale? Che, per quanto concerne le anime, essa appartiene
a Cristo, mentre, per quanto concerne i corpi, appartiene al diavolo. Cosa
afferma contro tali spropositi il vero Dottore delle genti nella fede e nella
verità? Ecco: Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? 90.
Del sesso, maschile e femminile, cosa dice il figlio della perdizione? Che
né l'uno né l'altro sono da Dio, ma tutt'e due dal diavolo. Cosa replica a
questa scempiaggine il Vaso di elezione? Come la donna proviene dall'uomo,
così l'uomo è per la donna: tutto però proviene da Dio 91.
E a proposito della carne, come si esprime lo spirito immondo per bocca di
Manicheo? Che essa è una sostanza perversa, creata non da Dio ma dal nemico.
Cosa insegna lo Spirito Santo per bocca di Paolo? Come il corpo è uno, pur
avendo molte membra, e come le membra del corpo, pur essendo
molte, non distruggono l'unità del corpo, così è il Cristo 92.
E poco dopo: Dio ci diede le membra e le dispose nel corpo come gli
piacque 93.
E ancora: Dio ordinò il nostro corpo in modo che un maggior rispetto
venisse riservato alle membra che non ne avevano, e, così, nel corpo non ci
fossero antagonismi, ma ogni membro fosse sollecito del bene degli altri. Se
pertanto soffre un membro, ne risentono tutti gli altri; se un membro riceve
onori, ne godono tutte le membra 94.
Come può essere cattiva la carne, se si invitano le stesse anime a imitare
la pace delle membra del corpo? Come può essere opera del nemico, se le stesse
anime, incaricate di reggere il corpo, debbono prendere l'esempio dalle membra
del corpo, al fine di evitare dissensi e inimicizie? se debbono desiderare di
avere per grazia quanto Dio ha conferito al corpo per natura? Scrive
giustamente Paolo ai Romani: Vi scongiuro, fratelli, per la bontà di Dio, ad
offrire i vostri corpi quale ostia vivente, santa, gradita a Dio 95.
Non avremmo alcun fondamento per sostenere che le tenebre non sono la luce
e la luce non è la stessa cosa che le tenebre, se siamo autorizzati a
presentare a Dio un'offerta viva santa e a lui gradita, desumendola da corpi
appartenenti a una genia tenebrosa.
Il popolo di Dio sospira la fine dei languori.
11. 25. Essi dicono:
Come trovare una qualche somiglianza fra la carne e la Chiesa, sì da poterle
mettere a confronto? Forse che la
Chiesa nutre delle aspirazioni contrarie a Cristo? Ma
l'Apostolo dice che la
Chiesa è sottomessa al Cristo 96!
Oh, certamente! La Chiesa
è soggetta a Cristo; e se lo spirito ha dei desideri opposti a quelli della
carne, tende proprio a questo, che la
Chiesa raggiunga la totale sottomissione a Cristo. E,
viceversa, se la carne ha dei desideri opposti a quelli dello spirito, ciò
dipende dal fatto che la Chiesa
non ha ancora conseguito quella pace perfetta che le è stata promessa.
Pertanto, la Chiesa
è sottomessa a Cristo per la salute che ha conseguito, sia pure in pegno;
mentre la carne avanza brame contrarie allo spirito per l'infermità in cui
langue. Erano senza dubbio membri della Chiesa quei tali a cui Paolo diceva: Camminate
secondo lo spirito, e non vogliate soddisfare i desideri della carne. La carne
infatti ha desideri opposti a quelli dello spirito, e lo spirito desideri
opposti a quelli della carne. Essi sono in contrasto fra loro, di modo
che voi non potete fare tutto quello che vorreste 97.
Sono, queste, esortazioni indirizzate alla Chiesa: la quale, se non fosse
soggetta a Cristo, non avrebbe posseduto lo spirito che per la continenza si
oppone alle voglie della carne. Mentre, proprio perché appartenenti alla
Chiesa, potevano - quei tali - resistere alle concupiscenze della carne: per
quanto non ancora in grado di fare ciò che avrebbero voluto - cioè non avere le
stesse concupiscenze carnali - a motivo delle aspirazioni sregolate che la
carne solleva contro lo spirito. Finalmente, perché non dire con franchezza che
la Chiesa è
soggetta a Cristo per quanto riguarda gli uomini spirituali, mentre negli
uomini carnali essa racchiude brame che contrastano col Cristo? Forse che non
avevano desideri contrari a quelli di Cristo, quei tali cui si diceva: Ma
che il Cristo è diviso? 98.
E gli altri: Io non ho potuto parlarvi come si conveniva a uomini
spirituali, ma come ad esseri di carne. Come a dei bambini in Cristo, vi detti
da bere del latte e non cibo solido. Voi infatti non eravate in grado di
riceverlo, né lo siete tuttora, perché siete carnali. Infatti, dal momento che
ci sono fra voi gelosie e contese, non siete forse carnali? 99.
Contro chi avanzano pretese la gelosia e la rivalità? Non forse contro
Cristo? Tali aspirazioni carnali Cristo le guarisce nei suoi, non le ama in
alcuno. E la Chiesa,
finché ha membra di tal sorta è santa, sì, ma non è senza macchia né ruga. E
poi bisogna aggiungere gli altri peccati, per i quali ogni giorno si leva da
tutta la Chiesa
l'invocazione: Rimetti a noi i nostri debiti 100.
Da questi debiti non dobbiamo ritenere esenti nemmeno le persone
spirituali. Lo asserisce non uno qualunque degli uomini carnali e nemmeno uno
qualunque di tra gli spirituali, ma colui che durante la cena stava adagiato
sul petto del Signore, colui che il Signore amava più degli altri 101.
Se diciamo di non aver peccati, inganniamo noi stessi, e in noi non c'è la
verità 102.
Orbene, in ogni peccato c'è sempre incluso un desiderio contrastante con la
giustizia, più grande in un peccato maggiore, più piccolo in un peccato minore.
E se è stato scritto di Gesù Cristo che è divenuto per noi, per volontà di Dio,
sapienza e giustizia e santificazione e redenzione 103
ne segue che in ogni peccato rientrano anche desideri contrari a Gesù
Cristo. Colui che risana tutti i nostri languori 104
porterà la Chiesa
alla guarigione, da tutte le infermità, che le ha promesso. Allora in nessuno
dei suoi membri ci sarà la benché minima macchia o ruga. La carne non avanzerà
in alcuna maniera desideri contrari a quelli dello spirito, e pertanto nemmeno
lo spirito avrà da nutrire brame contrarie a quelle della carne. Avrà termine,
allora, il combattimento di adesso, e fra le due sostanze ci sarà somma
concordia, al segno che nessun uomo sarà più carnale ma la stessa carne sarà
resa spirituale. Ecco dunque come si comporta con la sua carne colui che vive
secondo Cristo: cerca di sviluppare brame che si oppongano alle brame sregolate
di lei, e, non possedendola ancora risanata, cerca di condurla alla guarigione.
D'altra parte, siccome essa è sostanzialmente buona, la nutre e protegge,
secondo il detto: Nessuno ha mai avuto in odio la sua carne 105.
E proprio in questo modo si comporta Cristo con la sua Chiesa, se è lecito
stabilire confronti fra cose piccole e cose grandi. Egli infatti la sferza con
severi richiami perché non travii inorgoglita dall'impunità; la risolleva poi
con le consolazioni perché non soccomba sotto il peso delle miserie. A questo
allude l'Apostolo: Se ci giudicassimo da noi stessi, non saremmo certo
giudicati. Quando poi siamo giudicati, è il Signore che ci riprende per non
condannarci col mondo presente 106.
Parimenti il salmo: Secondo la misura dei dolori che mi passarono in cuore,
le tue consolazioni rallegrarono l'anima mia 107.
Aspettiamoci dunque la perfetta guarigione della nostra carne, compresa la
liberazione da ogni moto ribelle. Avverrà quando la Chiesa di Cristo
raggiungerà la tranquillità assoluta, al di fuori di ogni timore.
Vera e falsa continenza.
12. 26. Facciamo basta
con la polemica contro i manichei e la loro falsa continenza, e volgiamoci alla
continenza vera. Nessuno creda che il nobile sforzo prodotto dalla continenza,
quando consegue il suo frutto, cioè quando disciplina e trattiene dai piaceri
smodati e illeciti la nostra parte inferiore che è il corpo, tenda a infierire
contro di questo quasi fosse un nemico, ma piuttosto a domarlo e quindi
salvarlo. Il corpo infatti, sebbene per natura diverso dallo spirito, non è
estraneo alla natura dell'uomo. Lo spirito non è composto di corpo, ma l'uomo
risulta di anima e di corpo; e, se Dio libera una persona, la libera tutta
intera, anima e corpo. Per cui, quando il Salvatore si degnò di liberare in noi
tutto quello che aveva creato, anche lui assunse tutto l'uomo. A quei tali che
rinnegano questa verità, cosa potrà giovare il contenersi dalle loro voglie
libidinose? seppure è vero che si contengono! Cosa potrà diventare in essi puro
mediante la continenza, quando la loro stessa continenza è sporca? Tanto che
non meriterebbe nemmeno il nome di continenza. Le loro dottrine infatti sono
veleno del diavolo, mentre la continenza è dono di Dio. Vien qui da pensare a
tanta gente che soffre o che si sottopone con grande fortezza ad ogni sorta di
tormenti. Non tutti costoro sono, certamente, dotati della virtù della
pazienza, che è, come questa della continenza, un dono di Dio. Ci sono infatti
molti che riescono a tollerare mille tormenti per non palesare se stessi o i
propri complici nel delitto. Altri soffrono per saziare la brame libidinose di
cui ardono, ovvero per conseguire o non abbandonare quelle cose cui sono legati
da lacci d'un amore riprovevole. Molti ancora soffrono in difesa degli svariati
ma sempre funesti errori da cui sono irretiti. Orbene, di tutti costoro non si
può certo dire che abbiano la vera pazienza. Allo stesso modo, non di tutta la
gente che sa contenersi in qualcosa o che, magari, riesce a frenare le varie
passioni della carne o dello spirito può dirsi che abbiano la continenza, dei
cui vantaggi ed eccellenza stiamo ragionando. Ci sono, ad esempio, certuni che
- sembrerebbe strano a dirsi - si contengono per motivi di incontinenza. Poni
il caso di una donna che si rifiuta al marito, perché l'ha giurato al suo
complice nell'adulterio. Certi altri si contengono commettendo
dell'ingiustizia, come quando una persona sposata si rifiuta di rendere al
proprio coniuge il debito coniugale perché è ormai in grado di dominare
l'istinto sessuale. E così ci sono di quelli che si contengono perché ingannati
da false credenze religiose, o perché sperano successi vani o sono lusingati da
vani miraggi. Tra costoro sono da annoverarsi tutti gli eretici e quanti sono
fuori strada in fatto di religione. La loro continenza sarebbe vera, se fosse
vera la loro fede; ma, se questa non merita neppure il nome di fede, appunto
perché è falsa, neppure la loro continenza merita questo nome. Difatti, chi mai
potrà dire che sia peccato la continenza, di cui abbiamo affermato con verità
che è dono di Dio? Oh! non sia mai che alberghi nel nostro cuore una così
abominevole insensatezza! Tuttavia, se è vero ciò che dice l'Apostolo: Tutto
ciò che non procede dalla fede è peccato 108,
una continenza non accompagnata dalla fede non merita neppure il nome di
continenza.
La continenza coniugale e i suoi compiti.
12. 27. Ci sono anche
delle persone che, ponendosi apertamente al servizio degli spiriti maligni, si
astengono dai piaceri carnali per riuscire, col loro intervento, a soddisfare
altri delittuosi piaceri, di cui non sanno domare l'impeto e la fiamma. Voglio
dire solo qualcosa al riguardo, passando sopra a quanto renderebbe troppo lungo
il discorso. Alcuni rifuggono ogni contatto con la propria moglie perché, così
purificati, pretendono, attraverso arti magiche, di raggiungere le mogli degli
altri. Continenza davvero mirabile! Anzi, a dirla francamente, perversione e
sporcheria senza confronti. Se si fosse trattato di vera continenza, la carne e
le sue passioni sarebbero state tenute a bada prima di tutto in fatto di
adulterio, e non soltanto circa i rapporti coniugali, privandosi di questi pur
di raggiungere quello. La continenza coniugale infatti attenua, normalmente, la
concupiscenza carnale, ma è anche un freno che impone agli sposi una tale
disciplina che, nell'ambito stesso del matrimonio, non permette che si
abbandonino ad una sfrenata licenza ma li obbliga a rispettare la moderazione:
quella moderazione che risulti doverosa per la debolezza del coniuge, a cui
l'Apostolo accorda questo diritto, non in forza d'un comando ma come una
concessione di condiscendenza 109;
ovvero la moderazione che risponda al dovere di procreare i figli, che, nei
tempi remoti, fu per i padri e le madri sante l'unica ragione per cui si
unissero sessualmente. Facendo questo, cioè moderando e in qualche modo
limitando nei coniugi la concupiscenza carnale, la continenza, mentre ne ordina
e restringe entro certi limiti i moti inquieti e disordinati, si serve
rettamente di una cosa cattiva che è nell'uomo. In tal modo lo rende buono e
tende a portarlo alla perfezione: come quando Dio, per rendere perfetti i
buoni, si serve anche degli uomini cattivi.
Ambito della continenza.
13. 28. Della continenza
dice la Scrittura
che è dono della Sapienza conoscere da chi proviene 110.
Orbene, non sia mai detto che questo dono celeste lo posseggano quei tali
che si contengono perché schiavi dell'errore, o coloro che riescono a domare
qualcuna delle loro vogliuzze al fine di soddisfare poi le altre più grandi, di
cui sono schiavi. La continenza vera, quella che viene dall'alto, non vuole che
nuovi mali si sostituiscano ai mali precedenti, ma, mediante il bene, vuol
guarire ogni sorta di mali. Eccone in brevi parole tutto il campo d'azione. La
continenza ha il compito di vigilare perché siano dominate e risanate tutte,
senza eccezione, quelle voglie di godere che, nate dalla concupiscenza, si
oppongono alle gioie della sapienza. Ne restringono, pertanto, troppo l'ambito
quei tali che sentenziano essere suo ufficio frenare soltanto i piaceri
carnali. Un po' meglio, certo, coloro che, senza aggiungere la delimitazione corpo,
dicono che la sfera d'azione della continenza si estende, generalmente, a
moderare ogni sorta di desideri o cupidigie sregolate. Tale cupidigia, la si
ritiene vizio, e vizio non solo del corpo ma anche dell'anima. Se infatti la
passione carnale agisce nelle fornicazioni e nelle ubriachezze, nessuna
soddisfazione si procura al corpo con le inimicizie, le contese, le gelosie, le
stizze: le quali si esercitano con l'anima e ne sono moti o passioni 111.
Eppure l'Apostolo chiama opere della carne tutte queste passioni, tanto
quelle che rientrano nell'ambito dello spirituale quanto quelle che
propriamente sono della carne. Ciò dipende dal fatto che egli chiama carne l'uomo
in quanto tale; e opere dell'uomo sono tutte quelle che non sono opere di Dio.
Difatti l'uomo che le compie, e proprio perché le compie, vive secondo il suo
proprio naturale e non secondo Dio. Mentre ci sono altre opere che, sebbene
dell'uomo, tuttavia sono da chiamarsi opere di Dio. È Dio infatti - dice
l'Apostolo - colui che opera in voi e il volere e il realizzare le opere,
secondo la buona volontà 112.
E ancora: Tutti quelli che sono mossi dallo Spirito di Dio, costoro sono
figli di Dio 113.
La continenza nel rinato in Cristo.
13. 29. Lo spirito
dell'uomo, dunque, se aderisce allo Spirito di Dio, nutre dei desideri contrari
alla carne, cioè in ultima analisi, contrari a se stesso. Questo però torna a
suo vantaggio, nel senso che si tratta di moti umani non conformi alla legge di
Dio: moti che, nati dall'infermità contratta col peccato, seguitano tuttora ad
insorgere tanto nel corpo quanto nell'anima. Essi vengono rintuzzati dalla continenza,
per il conseguimento della salute. In tal modo, l'uomo, non vivendo più da uomo
decaduto, potrà dire: Veramente non sono più io che vivo; è Cristo che vive
in me 114.
Dove infatti non c'è più il mio io, là ci sono io in una forma più sublime e
fortunata. In tale situazione, quando si solleva un qualche moto naturale e
riprovevole, siccome la persona, che con la mente è al servizio dello Spirito
di Dio, non gli consente, può anche affermare che non è lei a compiere quel
male 115.
A tal sorta di persone vengono dette quelle parole che dobbiamo essere in grado
d'intendere anche noi, in quanto anche noi siamo loro colleghi e compartecipi: Se
siete risuscitati con Cristo, cercate le cose dell'alto, dov'è il Cristo,
assiso alla destra di Dio; pensate alle cose dell'alto, e non a quelle che sono
sulla terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in
Dio. Quando comparirà Cristo, vostra vita, allora anche voi apparirete con lui
nella gloria 116.
Cerchiamo di capire a chi siano indirizzate queste parole, anzi,
ascoltiamolo con maggiore attenzione, poiché nulla è più chiaro e manifesto di
questo. Egli si rivolge a coloro che sono risuscitati con Cristo: risuscitati
spiritualmente, non ancora col corpo. Li dice morti, ma da questa morte usciti
ancora più vivi; difatti afferma che la loro vita è nascosta con Cristo in Dio.
Sono di tali morti le parole: Veramente non vivo più io; è Cristo che vive
in me 117.
Eppure a questa gente, la cui vita è nascosta con Cristo in Dio, rivolge il
monito e l'esortazione di mortificare le loro membra finché sono sulla terra.
Così infatti prosegue: Fate dunque morire le vostre membra che sono sulla
terra 118.
E affinché nessuno, magari perché tardo d'ingegno, pensasse che la loro
mortificazione dovesse esercitarsi sulle membra visibili del corpo, subito
precisando il senso delle sue parole, soggiunge: La fornicazione,
l'impurità, la passione, il desiderio cattivo, l'avarizia, che è una specie
d'idolatria 119.
Ma allora, bisognerà forse credere che queste persone, che erano già morte
e la cui vita era nascosta con Cristo in Dio, fossero ancora dedite alla
fornicazione, o che menassero una vita scostumata, si dessero ad opere
malvagie, al servizio delle voglie della concupiscenza o dell'avarizia, sì da
esserne sconvolte? Nessuno, per quanto insipiente, potrebbe pensare una tal
cosa nei loro riguardi. Se pertanto l'Apostolo vuole che pratichino la
mortificazione, esercitando la virtù della continenza, lo dice per certi moti
che ancora sussistono in noi e ci disturbano con i loro richiami al di là del
consenso della nostra mente e senza esplicarsi in opere esterne attraverso le
membra del corpo. Questi moti vengono mortificati dalla continenza tutte le
volte che ad essi si rifiuta il consenso della mente e non si somministrano le
armi, cioè le membra del corpo. E poi, c'è qualcosa di più importante, che
occorre sottoporre a una vigilanza e continenza ancora più rigorose. È il
nostro stesso pensiero, che, sebbene in certo qual modo sfiorato dal richiamo
e, per così dire, dal bisbiglio di questi moti, deve resistere alle loro
lusinghe e restarne immune, sì da potersi volgere meglio alle cose del cielo e
gustarne la soavità. Di questi moti si occupa l'Apostolo nei suoi scritti,
inculcando che non ci si soffermi in essi ma piuttosto che li si fugga. La qual
cosa ci sarà consentita se ne ascolteremo con impegno le parole e, con l'aiuto
di colui che per mezzo del suo Apostolo ci dà il precetto, le metteremo in
pratica. Cercate - dice - le cose dell'alto, dove è Cristo, assiso
alla destra di Dio. Pensate alle cose dell'alto, non a quelle della
terra 120.
Le opere della continenza postulate dalla fede.
14. 30. Dopo aver
elencato i mali di cui sopra, Paolo soggiunge: Fu per queste [aberrazioni]
che venne l'ira di Dio sui figli dell'incredulità 121.
È un salutare spavento che vuole incutere, perché, divenuti credenti, non
pensassero che per la sola loro fede potessero salvarsi se avessero seguitato a
vivere nei vizi di prima. Contro una tale interpretazione protesta l'apostolo
Giacomo quando, con parole quanto mai chiare, afferma: Uno dice d'avere la
fede. Se costui non ha le opere, potrà forse la fede portarlo a salvezza? 122.
Ma anche il Dottore delle genti osservava che a causa di quei disordini era
scesa l'ira di Dio sui figli infedeli; e, affermando che anche voi un tempo
vi camminavate e conducevate una vita immersa negli stessi vizi 123,
lascia sufficientemente intendere che adesso non ci vivevano più. Erano infatti
morti ai vizi e la loro vita di adesso era nascosta con Cristo in Dio. Non
vivevano più, dunque, nei vizi; eppure dà loro il comando di mortificarli. È
segno che mentre essi, le persone, non vivevano nel vizio, i moti viziosi erano
ancora in vita, come ho precisato or ora. Si menzionano le membra, ma in realtà
si trattava dei vizi che albergano nelle membra, in forza di quella figura
retorica che nomina il contenente per il contenuto. Come quando, ad esempio, si
dice: "Ne parla tutta la piazza", che vuol dire: "Ne parla tutta
la gente che è in piazza". E nel salmo, per la stessa locuzione figurata,
si canta: Ti adori tutta la terra 124.
Vale a dire: Tutti gli uomini che sono sulla terra.
Anche i santi obbligati alla continenza.
14. 31. Continua
l'Apostolo: Spogliatevi dunque anche voi di tutte le cose 125,
ed elenca una lunga serie di vizi. Perché non si contenta di dire: Spogliatevi
di tutte le cose, ma vi aggiunge la congiunzione anche voi?
Lo fa senza dubbio perché non pensassero che loro si potevano abbandonare a
questi disordini e ci potevano vivere impunemente per il fatto che la fede li
aveva sottratti all'ira divina, che invece si effondeva sugli increduli, dediti
appunto a tali opere e, privi della fede, viventi nel vizio. Dice: Sbarazzatevi
anche voi di quei mali, per causa dei quali scese l'ira di Dio sui figli
dell'incredulità, né ripromettetevi l'impunità per il merito della fede.
Parlando a gente che da tali vizi s'era liberata e non consentiva più ad essi
né prestava loro le proprie membra come strumenti di peccato, non avrebbe
detto: Sbarazzatevi, se la vita dei santi quaggiù - finché dura la
nostra condizione di esseri mortali - non si trovasse davvero in tale
situazione né avesse ad occuparsi di tale lavoro. Purtroppo però, finché lo
spirito ha delle brame contrarie a quelle della carne, c'è proprio questo
problema in cui ci si dibatte con grande tensione spirituale: resistere
mediante l'attrattiva della santità, l'amore per la castità, la vigoria dello
spirito e l'armonia interiore prodotta dalla continenza, ai piaceri sregolati,
alle passioni disoneste, ai movimenti carnali e indecorosi. In questo modo si
liberano definitivamente dalle tendenze cattive coloro che sono già morti ad
esse e che, negando loro il consenso, non vivono più immersi in esse. Vengono
eliminate - dico - se mediante una mai interrotta continenza le si reprime
perché non rinascano. Che se uno, invece, sicuro di sé, volesse interrompere
questo lavoro di repressione, subito gli balzerebbero sulla roccaforte della
mente, e ne la spodesterebbero e la ridurrebbero in schiavitù, prigioniera in
una condizione disonorevole e quanto mai brutta. Regnerebbe allora, nel corpo
mortale dell'uomo, il peccato, e lo costringerebbe ad obbedire ai suoi
desideri; ed egli, l'uomo, presterebbe le sue membra al peccato come armi di
iniquità 126.
E il punto d'arrivo, di questo tale, sarebbe peggiore che non quello di
partenza 127.
È infatti molto più tollerabile non aver mai intrapreso una lotta anziché
averla intrapresa e abbandonarla, rassegnandosi a diventare prigioniero, da
combattente valoroso e vittorioso che si era. Ragion per cui il Signore non
dice: "Sarà salvo chi avrà cominciato", ma: Chi avrà perseverato
sino alla fine sarà salvo 128.
Per concludere.
14. 32. Sia dunque che
lottiamo con ardore per non essere sopraffatti, sia che vinciamo, come talora
capita, con quella facilità che non avremmo osato né sperare né immaginarci,
diamo gloria a colui che ci fa dono della continenza. Ricordiamoci di quel tal
giusto che nella prosperità diceva: Io non sarò mai smosso dalla mia
strada 129;
e invece gli fu fatto constatare quanto fossero avventate le sue parole, mentre
attribuiva alle sue proprie forze quello che gli veniva accordato dall'alto. Lo
apprendiamo dalla confessione che ci fa lui stesso, quando, subito appresso,
soggiunge: O Signore, nel tuo beneplacito mi avevi conferito la virtù e
l'onorabilità. Quando invece mi voltasti la faccia, caddi nel turbamento 130.
Il Signore nella sua Provvidenza lo abbandonò temporaneamente, e ciò fu una medicina,
affinché egli stesso, nella sua micidiale superbia, non abbandonasse il
Rettore. È certo, quindi che tutto in noi accade per la nostra salute, sia che
combattiamo contro i nostri vizi al fine di domarli e ridurli - compito della
vita presente -, sia che non abbiamo più nemici né mali da cui essere
contagiati - cosa che ci sarà riservata alla fine dei tempi nel mondo avvenire
-. Scopo ultimo di tutto questo è che chi si gloria, si glori nel
Signore 131.