29-1-2010
Sacralità del celibato
Secondo un’opinione diffusa, il numero insufficiente di candidati al sacerdozio dipenderebbe dalla decisione della Chiesa latina di ammettere al presbiterato solo quanti abbracciano il celibato.
Sacralità del celibato
Secondo un’opinione diffusa, il numero insufficiente di candidati al sacerdozio dipenderebbe dalla decisione della Chiesa latina di ammettere al presbiterato solo quanti abbracciano il celibato.
Il
celibato, quindi, diventa l’imputato numero uno e la causa scatenante
la crisi che, nel post Concilio, ha investito il ministero ordinato.
Le
crisi perduranti presentano, in genere, cause molteplici; per il
celibato, quindi, non ci si può fermare alle ragioni esistenziali,
bisogna interrogarsi anche su quelle teologiche valutando se si siano
appannate o se, più semplicemente, noi non siamo stati capaci di
rispondere, in modo adeguato, alle critiche provenienti da tale ambito.
Non
dimentichiamo, inoltre, come il celibato, osservato in rapporto alla
sacralità, rimandi a un perfezionamento dell’uomo e, insieme, lo spinga
oltre se stesso, non solo verso il termine della storia - dopo di essa
-, ma si ponga, anche, come novità che, fin d’ora, situa l’uomo oltre se
stesso.
Le
difficoltà, però, si stemperano, fino a sciogliersi, se si evidenzia
come fra stato matrimoniale dei ministri ordinati e celibato degli
stessi, sussista una realtà mediana: la pratica o esercizio della
continenza cui erano tenuti i ministri ordinati.
L’insegnamento
del Concilio Vaticano II circa il sacerdozio ordinato - ripreso anche
dal magistero successivo -, pone l’accento sul fatto che il presbitero,
attraverso il sacramento dell’ordine, tanto nella sua persona quanto
nella sua missione, sia vero e reale prolungamento di Cristo.
Stando
al decreto conciliare Presbyterorum ordinis, dove il sacerdote è
presentato come chi - nel suo essere personale - è reso conforme a
Cristo, risultano particolarmente efficaci, proprio in quest’anno
sacerdotale, le parole che Giovanni Paolo II ha scritto nel suo libro Dono e mistero.
Solo
la fedeltà alla realtà del sacramento libera dal rischio di cadere nel
funzionalismo e, conseguentemente, nella pastorale del fare, fine a se
stessa. Per non cedere al funzionalismo, il ministro ordinato deve
essere capace di donazione personale, in altri termini, alla radice
della sua azione deve esservi il dono, l’offerta della sua persona.
Limitarsi
a “fare” il prete, ossia, “compiere” determinate prestazioni legate al
ministero sacerdotale o “garantire” solamente alcune opere e far
coincidere tutto questo con l’esistenza del sacerdote che, invece, nel
più intimo della sua persona è conformità ontologica a Cristo, vuol dire
non aver inteso il dono del sacramento che rende nuove creature in
vista dell’originalità che ontologicamente conforma a Cristo, Capo del
Corpo mistico.
E’
chiaro che, all’interno di una visione funzionalista, non più in grado
di cogliere il valore del simbolo e che a sua volta è espressione di una
precisa mentalità (incapacità), noi non siamo più in grado di percepire
il profondo significato e la sacralità del celibato sacerdotale.
Solo
al chiarore dell’evento pasquale, è possibile ricavare luce sufficiente
per comprendere la sacralità e la sacramentalità del celibato
sacerdotale, rifrazione della realtà di Cristo Sposo.
Il
punto è proprio questo: il celibato sacerdotale - che è per il culto,
il servizio religioso e la pastorale del popolo, si radica, in modo
specifico, sulla sponsalità di Cristo che, nel Nuovo Testamento, è
costantemente presentato come lo Sposo della Chiesa; insomma, dobbiamo
dire che Cristo non si è sposato, perché era già sposato. Nel senso
appena detto, il suo, era, quindi, un celibato solo apparente e Cristo
non si lega a una sposa umana, perché è lo Sposo dell’intera umanità;
infatti, la chiesa, come ricorda Lumen gentium, costituisce l’umanità unita a Dio in Cristo; e, nel Nuovo Testamento, Cristo si presenta come lo Sposo per antonomasia.
Nonostante
le apparenze, quindi, non è possibile mettere sullo stesso piano lo
sposarsi di chi è già prete e il ricevere il sacramento dell’ordine da
parte di chi è già sposato.
Le
due situazioni si rapportano in modo diverso; infatti, quando è lo
sposato ad accedere al sacerdozio, è, secondo la teologia sacramentaria,
la figura (il coniugato) ad andare verso la realtà (la sponsalità di
Cristo) mentre, quando fosse il sacerdote ordinato, a desiderare il
matrimonio, sarebbe la realtà (la sponsalità di Cristo) che tenderebbe
alla figura (matrimonio), ossia la realtà che diventa figura di se
stessa.