Articoli , pensieri e riflessioni sul celibato sacerdotale (o celibato ecclesiastico) e sulla castità come consiglio evangelico.
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sabato 19 gennaio 2013

Estratti della Sacerdotalis Coelibatus di Paolo VI


 1. Il celibato sacerdotale, che la Chiesa custodisce da secoli come fulgida gemma, conserva tutto il suo valore anche nel nostro tempo, caratterizzato da una profonda trasformazione di mentalità e di strutture. Ma nel clima dei nuovi fermenti si è manifestata anche la tendenza, anzi l'espressa volontà di sollecitare la Chiesa a riesaminare questo suo istituto caratteristico, la cui osservanza secondo alcuni sarebbe resa ora problematica e quasi impossibile nel nostro tempo e nel nostro mondo.
2. Questo stato di cose, che scuote la coscienza e provoca la perplessità di alcuni sacerdoti e giovani aspiranti al sacerdozio e genera sgomento in molti fedeli, Ci impone di rompere gli indugi per mantenere la promessa già fatta ai Venerabili Padri del Concilio, ai quali dichiarammo il Nostro proposito di dare nuovo lustro e vigore al celibato sacerdotale nelle circostanze attuali (1). Nel frattempo, abbiamo a lungo e ardentemente invocato i necessari lumi ed aiuti dello Spirito Paraclito ed abbiamo esaminato al cospetto di Dio pareri e istanze giunteCi da ogni parte, innanzitutto da parecchi Pastori della Chiesa di Dio.
3. La grande questione relativa al sacro celibato del clero nella Chiesa si è lungamente presentata al Nostro spirito in tutta la sua ampiezza e in tutta la sua gravità: deve ancor oggi sussistere quella severa e sublimante obbligazione per coloro che intendono accedere agli ordini sacri maggiori? È oggi conveniente l'osservanza di una tale obbligazione? Non sarebbe maturato il tempo per scindere il vincolo che unisce nella Chiesa il celibato al sacerdozio? Non potrebbe essere facoltativa questa difficile osservanza? Non ne sarebbe favorito il ministero sacerdotale, facilitato l'avvicinamento ecumenico? E se l'aurea legge del sacro celibato deve tuttora rimanere, per quali ragioni essa oggi dev' essere trovata santa e conveniente? E con quali mezzi può essere osservata, e come da peso convertita in aiuto alla vita sacerdotale?
4. La Nostra attenzione si è fermata in modo particolare sulle obiezioni che in varia forma sono state e sono espresse contro il mantenimento del sacro celibato. Un tema di così grande importanza e complessità, infatti, Ci impone, in virtù del Nostro apostolico servizio, di considerare lealmente la realtà e i problemi che essa implica, illuminandola però, come è Nostro dovere e Nostra missione, con la luce della verità che è Cristo, nell'intento di compiere in tutto la volontà di colui che Ci ha chiamati a questo ufficio, e di dimostrarci quali siamo di fronte alla Chiesa, il servo dei servi di Dio.
5. Si può dire che non mai come oggi il tema del celibato ecclesiastico sia stato scrutato con maggiore acutezza e sotto ogni aspetto, sul piano dottrinale, storico, sociologico, psicologico e pastorale, e spesso con intenzioni fondamentalmente rette, anche se le parole possono averle talvolta tradite. Guardiamo onestamente le principali obiezioni alla legge del celibato ecclesiastico abbinato al sacerdozio. La prima, sembra provenire dalla fonte più autorevole: il Nuovo Testamento, nel quale è conservata la dottrina di Cristo e degli Apostoli, non esige il celibato dei ministri sacri, ma lo propone piuttosto come libera obbedienza ad una speciale vocazione o ad uno speciale carisma (2). Gesù stesso non ha posto questa pregiudiziale nella scelta dei dodici, come anche gli Apostoli per coloro i quali venivano preposti alle prime comunità cristiane (3).
6. L'intimo rapporto che i Padri della Chiesa e gli scrittori ecclesiastici hanno stabilito nel corso dei secoli tra la vocazione al sacerdozio ministeriale e la sacra verginità trova la sua origine in mentalità e situazioni storiche diverse dalle nostre. Spesso nei testi patristici si raccomanda al clero, più che il celibato, l'astinenza dall'uso del matrimonio, e le ragioni addotte per la castità perfetta dei sacri ministri sembrano talvolta ispirate a eccessivo pessimismo per la condizione umana nella carne, o a una particolare concezione della purezza necessaria per il contatto con le cose sacre. Gli argomenti antichi, inoltre, non risulterebbero più consoni a tutti gli ambienti socio-culturali, in cui oggi la Chiesa è chiamata a operare mediante i suoi sacerdoti.
7. Una difficoltà che molti avvertono sta nel fatto che con la disciplina vigente del celibato si fa coincidere il carisma della vocazione sacerdotale col carisma della perfetta castità come stato di vita del ministro di Dio; e perciò si domandano se sia giusto allontanare dal sacerdozio coloro che avrebbero la vocazione ministeriale, senza avere quella della vita celibe.
8. Il mantenimento del celibato sacerdotale nella Chiesa arrecherebbe inoltre gravissimo danno là dove la scarsità numerica del clero, accoratamente riconosciuta e lamentata dallo stesso sacro Concilio (4), provoca situazioni drammatiche, ostacolando la piena realizzazione del piano divino di salvezza e mettendo a volte in pericolo la stessa possibilità del primo annunzio evangelico. La preoccupante rarefazione del clero, infatti, viene ascritta da alcuni alla pesantezza dell'obbligo del celibato.
9. Non mancano poi quelli, i quali sono convinti che un sacerdozio uxorato non soltanto toglierebbe l'occasione a infedeltà, disordini e dolorose defezioni, che feriscono e addolorano tutta la Chiesa, ma consentirebbe ai ministri di Cristo una più completa testimonianza di vita cristiana anche nel campo della famiglia, dal quale il loro stato attuale li esclude.
10. C'è ancora chi insiste nell'affermazione secondo la quale il .sacerdote, in virtù del suo celibato, è in una situazione fisica e psicologica innaturale, dannosa all'equilibrio e alla maturazione della tua personalità umana; accade così - dicono - che spesso il sacerdote si inaridisca e manchi di umano calore, di una piena comunione di vita e di destino con il resto dei suoi fratelli, e sia costretto a una solitudine che è fonte di amarezze e di avvilimento. Tutto questo non indica forse una ingiusta violenza e un ingiustificabile disprezzo di valori umani derivanti dalla divina opera -della creazione e integrati nell'opera della redenzione compiuta da Cristo?
11. Osservando inoltre il modo con cui un candidato al sacerdozio giunge all'accettazione di un impegno coli gravoso, si eccepisce che, in pratica, esso è il risultato di un atteggiamento passivo, causato spesso da una formazione non del tutto adeguata e rispettosa della umana libertà, piuttosto che il risultato di una decisione autenticamente personale, essendo il grado di conoscenza e di autodecisione del giovane e la sua maturità psico-fisica assai inferiori, e in ogni caso sproporzionati, all'entità, alle difficoltà oggettive e alla durata dell'obbligo che egli si assume.
12. Non ignoriamo che altre obiezioni possono essere sollevate contro il sacro celibato: è questo un tema molto complesso, che fiocca sul vivo la concezione abituale della vita, e che introduce in essa la luce superiore proveniente dalla divina rivelazione; una serie interminabile di difficoltà si presenterà per coloro che non capiscono questa cosa (5), che non conoscono, o che dimenticano il dono di Dio (6), e non sanno quale sia la logica superiore di tale nuova concezione della vita e quale la sua mirabile efficacia, la sua esuberante pienezza.
13. Questo coro di obiezioni sembrerebbe soffocare la voce secolare e solenne dei Pastori della Chiesa, dei maestri di spirito, della testimonianza vissuta di una legione senza numero di santi e di fedeli ministri di Dio, che del sacro celibato hanno fatto interiore oggetto ed esteriore segno della loro totale e gaudiosa donazione al mistero di Cristo. No, questa voce è tuttora forte e serena; non viene soltanto dal passato, viene anche dal presente. Solleciti sempre all'osservanza della realtà, Noi non possiamo chiudere gli occhi su questa magnifica e sorprendente realtà: vi sono ancora oggi nella santa Chiesa di Dio, in ogni parte del mondo, dove essa ha eretto le sue tende benedette, innumerevoli ministri sacri - sud-diaconi, diaconi, presbiteri, vescovi -, che vivono in modo illibato il celibato volontario e consacrato; e, accanto a loro, non possiamo non avvertire le schiere immense dei religiosi, delle religiose, e anche di giovani, e di laici, fedeli tutti all'impegno della perfetta castità: essa è vissuta non per disprezzo del dono divino della vita, ma per amore superiore alla vita nuova sgorgante dal mistero pasquale; è vissuta con coraggiosa austerità, con gioiosa spiritualità, con esemplare integrità ed anche con relativa facilità. Questo grandioso fenomeno documenta una singolare realtà del regno di Dio vivente in seno alla società moderna, a cui presta umile e benefico ufficio di luce del mondo e di sale della terra (7); Noi non possiamo tacere la nostra ammirazione: in esso soffia indubbiamente lo Spirito di Cristo.
14. Noi dunque riteniamo che la vigente legge del sacro celibato debba ancora oggi, e fermamente, accompagnarsi al ministero ecclesiastico; essa deve sorreggere il ministro nella sua scelta esclusiva, perenne e totale dell'unico e sommo amore di Cristo e della consacrazione al culto di Dio e al servizio della Chiesa, e deve qualificare il suo stato di vita, sia nella comunità dei fedeli, che in quella profana.
15. Certo, il carisma della vocazione sacerdotale, rivolta al culto divino e al servizio religioso e pastorale del popolo di Dio, è distinto dal carisma che induce alla scelta del celibato come stato di vita consacrata  (8); ma la vocazione sacerdotale, benché divina nella sua ispirazione, non diventa definitiva e operante senza il collaudo e l'accettazione di chi nella Chiesa ha la potestà e la responsabilità del ministero per la comunità ecclesiale; e quindi spetta all'autorità della Chiesa stabilire, secondo i tempi e i luoghi, quali debbano essere in concreto gli uomini e quali i loro requisiti, perché possano ritenersi adatti al servizio religioso e pastorale della Chiesa medesima.


Alcuni brani tratti da Il sacerdozio ministeriale, Sinodo dei Vescovi 1971

4. Il celibato
a) Fondamento del celibato
Il celibato dei sacerdoti concorda pienamente con la chiamata alla sequela apostolica di Cristo, ed anche con la risposta incondizionata del chiamato, il quale assume il servizio pastorale. Per mezzo del celibato, il sacerdote, seguendo il suo Signore, si dimostra più pienamente disponibile e, prendendo nel gaudio pasquale la via della Croce, desidera ardentemente di consumarsi in un'offerta che si può paragonare a quella eucaristica.
Se il celibato, poi, viene vissuto in spirito evangelico, nell'orazione e nella vigilanza, con povertà, in letizia, nel disprezzo degli onori ed in amore fraterno, esso è un segno che non può restare a lungo nascosto, ma proclama efficacemente Cristo agli uomini anche della nostra età.
Oggi, infatti, si dà poco credito alle parole, mentre la testimonianza di vita, che dimostra il carattere radicale del Vangelo, ha una grande forza di attrazione.
b) Convergenza dei motivi
Il celibato, in quanto opzione personale in favore di un bene più importante, anche puramente naturale, può promuovere la piena maturità e integrazione della personalità umana. Ciò vale a più forte ragione per il celibato prescelto per il Regno dei cieli, come chiaramente si scorge nella vita di tanti Santi e di tanti fedeli, i quali, vivendo una vita celibe, si consacrarono totalmente alla causa di Dio e degli uomini, promovendo insieme il progresso umano e cristiano.
Nella moderna cultura, in cui i valori spirituali sono molto annebbiati, il sacerdote celibe fa capire la presenza di Dio Assoluto, il quale ci invita a rinnovarci secondo la sua immagine. E là dove il valore della sessualità viene talmente esagerato da far dimenticare l'autentico amore, il celibato, scelto per il Regno di Cristo, richiama gli uomini alla profondità dell'amore fedele e manifesta il significato supremo della vita.
Inoltre, si parla giustamente del valore del celibato come di un segno escatologico. Superando ogni valore umano di carattere contingente, il sacerdote celibe si associa in modo speciale a Cristo, come al bene supremo ed assoluto, e manifesta in anticipo la libertà dei figli di Dio. Riconosciuto pienamente il valore di segno e di santità del matrimonio cristiano, il celibato, scelto per il Regno, dimostra più chiaramente quella fecondità spirituale, ossia quella potenza generatrice della Nuova Legge, per la quale l'Apostolo sa di essere, in Cristo, il padre e la madre delle sue proprie comunità.
Da questa speciale sequela di Cristo il sacerdote attinge le migliori energie per edificare la Chiesa; e tali energie non si possono conservare ed accrescere se non con una unione intima e permanente col suo Spirito. E questa unione con Cristo, il fedele Popolo di Dio la vuole riconoscere e la può discernere nei suoi pastori.
Per mezzo del celibato, i sacerdoti possono più facilmente servire a Dio con cuore indiviso e spendersi per le pecorelle, per poter essere più pienamente i promotori dell'evangelizzazione e dell'unità della Chiesa. In tal modo, i sacerdoti, sebbene siano numericamente pochi, col fulgore di questa splendida testimonianza di vita, godranno di una maggiore fecondità apostolica.
Il celibato sacerdotale, inoltre, non è soltanto la testimonianza individuale di una persona, ma, in virtù della particolare comunione che tra loro collega i membri del Presbiterio, riveste altresì una nota sociale, in quanto è testimonianza dell'intero ordine sacerdotale, destinata ad arricchire il Popolo di Dio.
c) Necessità di conservare il celibato nella Chiesa latina
Rimangono invariate le tradizioni delle Chiese Orientali, quali sono al presente in vigore nei diversi territori.
La Chiesa ha il diritto e il dovere di determinare la forma concreta del ministero sacerdotale, e perciò anche di scegliere i candidati più adatti, che siano dotati di determinate qualità umane e soprannaturali. Quando la Chiesa latina chiede il celibato come condizione sine qua non per il sacerdozio, non fa questo perché ritenga tale forma di vita l'unica via per il conseguimento della santità; ma lo fa considerando attentamente la forma concreta dell'esercizio del ministero nella comunità, per l'edificazione della Chiesa.
In ragione dell'intima e molteplice convenienza tra l'ufficio pastorale e la vita celibe, si mantiene la legge vigente: infatti, colui che liberamente vuole la totale disponibilità, che è la nota distintiva di tale ufficio, accetta altrettanto liberamente la vita celibe. Il candidato deve concepire questa forma di vita non come imposta dal di fuori, ma piuttosto come la manifestazione della sua libera donazione, che viene accettata e ratificata dalla Chiesa per mezzo del Vescovo. In questo modo, la legge diventa tutela e presidio della libertà, per la quale il sacerdote si dona a Cristo, e riesce quindi come un " giogo soave "
d) Condizioni che favoriscono il celibato
Sappiamo bene che, nel mondo di oggi, il celibato è da ogni parte minacciato da particolari difficoltà, che, peraltro, i sacerdoti già più volte hanno sperimentato nel corso dei secoli. Ora essi possono superare queste difficoltà, se si promuovono le condizioni opportune, e cioè: l'incremento della vita interiore con l'aiuto della preghiera, dell'abnegazione, dell'ardente carità verso Dio e verso il prossimo, e con gli altri sussidi della vita spirituale; l'equilibrio umano attraverso un ordinato inserimento nella compagine delle relazioni sociali; i fraterni rapporti e i contatti con gli altri presbiteri e col Vescovo, adattando meglio, a tale scopo, le strutture pastorali, e anche con l'aiuto della camunità dei fedeli.
Bisogna riconoscere che il celibato, come dono di Dio, non può essere osservato se il candidato non è convenientemente preparato ad esso. E' necessario che, fin da principio, i candidati tengano presenti le ragioni positive in favore della scelta del celibato, senza lasciarsi turbare da quelle obiezioni, il cui accumularsi e la cui continua pressione sono piuttosto il segno che ne è messo in pericolo l'originario valore. Essi, inoltre, ricordino che la virtù, con la quale Dio ci conforta, assiste sempre coloro che si sforzano di servirlo fedelmente e totalmente.
Il sacerdote, che ha lasciato l'esercizio del ministero, sia trattato con equità e con spirito fraterno, ma, anche se può aiutare nel servizio della Chiesa, non sia ammesso ad esercitare le attività sacerdotali.
e) La legge del celibato
La legge del celibato sacerdotale, vigente nella Chiesa latina, deve essere integralmente conservata.


Alcuni brani della Pastores dabo vobis, Esortazione Apostolica di Papa Giovanni Paolo II, 25 marzo 1992

29. Tra i consigli evangelici — scrive il Concilio — « eccelle questo prezioso dono della grazia divina, dato dal Padre ad alcuni 181 di votarsi a Dio solo più facilmente e con un cuore senza divisioni 182 nella verginità e nel celibato. Questa perfetta continenza per il Regno dei cieli è sempre stata tenuta in singolare onore dalla Chiesa, come un segno e uno stimolo della carità e come una speciale sorgente di fecondità nel mondo ».183 Nella verginità e nel celibato la castità mantiene il suo significato originario, quello cioè di una sessualità umana vissuta come autentica manifestazione e prezioso servizio all'amore di comunione e di donazione interpersonale. Questo significato sussiste pienamente nella verginità, che realizza, pur nella rinuncia al matrimonio, il « significato sponsale » del corpo mediante una comunione e una donazione personale a Gesù Cristo e alla sua Chiesa che prefigurano e anticipano la comunione e la donazione perfette e definitive dell'al di là: « Nella verginità l'uomo è in attesa, anche corporalmente, delle nozze escatologiche di Cristo con la Chiesa, donandosi integralmente alla Chiesa nella speranza che Cristo si doni a questa nella piena verità della vita eterna ».184
In questa luce si possono più facilmente comprendere e apprezzare i motivi della scelta plurisecolare che la Chiesa di Occidente ha fatto e che ha mantenuto, nonostante tutte le difficoltà e le obiezioni sollevate lungo i secoli, di conferire l'ordine presbiterale solo a uomini che diano prova di essere chiamati da Dio al dono della castità nel celibato assoluto e perpetuo.
I Padri sinodali hanno espresso con chiarezza e con forza il loro pensiero con un'importante Proposizione, che merita di essere integralmente e letteralmente riferita: « Ferma restante la disciplina delle Chiese Orientali, il Sinodo, convinto che la castità perfetta nel celibato sacerdotale è un carisma, ricorda ai presbiteri che essa costituisce un dono inestimabile di Dio per la Chiesa e rappresenta un valore profetico per il mondo attuale. Questo Sinodo nuovamente e con forza afferma quanto la Chiesa Latina e alcuni riti orientali richiedono, che cioè il sacerdozio venga conferito solo a quegli uomini che hanno ricevuto da Dio il dono della vocazione alla castità celibe (senza pregiudizio della tradizione di alcune Chiese orientali e dei casi particolari di clero uxorato proveniente da conversioni al cattolicesimo, per il quale si dà eccezione nell'enciclica di Paolo VI, « Sacerdotalis Caelibatus »). Il Sinodo non vuole lasciare nessun dubbio nella mente di tutti sulla ferma volontà della Chiesa di mantenere la legge che esige il celibato liberamente scelto e perpetuo per i candidati all'ordinazione sacerdotale nel rito latino. Il Sinodo sollecita che il celibato sia presentato e spiegato nella sua piena ricchezza biblica, teologica e spirituale, come dono prezioso dato da Dio alla sua Chiesa e come segno del Regno che non è di questo mondo, segno dell'amore di Dio verso questo mondo nonché dell'amore indiviso del sacerdote verso Dio e il Popolo di Dio, così che il celibato sia visto come arricchimento positivo del sacerdozio ».185
È particolarmente importante che il sacerdote comprenda la motivazione teologica della legge ecclesiastica sul celibato. In quanto legge, esprime la volontà della Chiesa, prima ancora che la volontà del soggetto espressa dalla sua disponibilità. Ma la volontà della Chiesa trova la sua ultima motivazione nel legame che il celibato ha con l'Ordinazione sacra, che configura il sacerdote a Gesù Cristo Capo e Sposo della Chiesa. La Chiesa, come Sposa di Gesù Cristo, vuole essere amata dal sacerdote nel modo totale ed esclusivo con cui Gesù Cristo Capo e Sposo l'ha amata. Il celibato sacerdotale, allora, è dono di sé in e con Cristo alla sua Chiesa ed esprime il servizio del sacerdote alla Chiesa in e con il Signore.
Per un'adeguata vita spirituale del sacerdote occorre che il celibato sia considerato e vissuto non come un elemento isolato o puramente negativo, ma come un aspetto di un orientamento positivo, specifico e caratteristico del sacerdote: egli, lasciando il padre e la madre, segue Gesù buon Pastore, in una comunione apostolica, a servizio del Popolo di Dio. Il celibato è dunque da accogliere con libera e amorosa decisione da rinnovare continuamente, come dono inestimabile di Dio, come « stimolo della carità pastorale »,186 come singolare partecipazione alla paternità di Dio e alla fecondità della Chiesa, come testimonianza al mondo del Regno escatologico. Per vivere tutte le esigenze morali, pastorali e spirituali del celibato sacerdotale è assolutamente necessaria la preghiera umile e fiduciosa, come ci avverte il Concilio: « Al mondo d'oggi, quanto più la perfetta continenza viene considerata impossibile da tante persone, con tanta maggiore umiltà e perseveranza debbono i presbiteri implorare insieme alla Chiesa la grazia della fedeltà che mai è negata a chi la richiede, ricorrendo allo stesso tempo ai mezzi soprannaturali e naturali di cui tutti dispongono ».187 Sarà ancora la preghiera, unita ai Sacramenti della Chiesa e all'impegno ascetico, ad infondere speranza nelle difficoltà, perdono nelle mancanze, fiducia e coraggio nella ripresa del cammino.


Giovanni Paolo II, La logica della consacrazione nel celibato sacerdotale, Udienza Generale — 14 Luglio 1993

1. Nei Vangeli, quando Gesù chiamò i suoi primi apostoli per fare di essi dei  «pescatori di uomini» (Mt 4,19; Mc 1,17; cf. Lc 5,10), essi «lasciarono tutto e lo  seguirono» (Lc 5,11; cf. Mt 4,20.22; Mc 1,18.20). Un giorno fu lo stesso Pietro a  ricordare questo aspetto della vocazione apostolica, dicendo a Gesù: «Ecco, noi  abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito» (Mt 19,27; Mc 10,28; cf. Lc  18,28).Gesù allora elencò tutti i distacchi necessari «a causa mia - disse - e a  causa del Vangelo» (Mc 10,29). Non si trattava soltanto di rinunciare a dei beni  materiali, come la «casa» o i «campi», ma anche di separarsi dalle persone più care: «fratelli o sorelle o padre o madre o figli», - così dicono Matteo e Marco -  «moglie o fratelli o genitori o figli», - così dice Luca (18,29).
Osserviamo qui la diversità delle vocazioni. Non da tutti i suoi discepoli  Gesù esigeva la rinuncia radicale alla vita in famiglia, benché da tutti esigesse  il primo posto nel cuore quando diceva: «Chi ama il padre o la madre più di me non  è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me» (Mt  10,37). L'esigenza di rinuncia effettiva è propria della vita apostolica oppure  della vita di consacrazione speciale. Chiamati da Gesù, «Giacomo di Zebedeo e  Giovanni suo fratello» non lasciarono solo la barca in cui «riassettavano le reti»,  ma anche il loro padre, con il quale si trovavano (Mt 4,22; cf. Mc 1,20).
Queste constatazioni ci aiutano a capire il perché della legislazione  ecclesiastica circa il celibato sacerdotale. La Chiesa, infatti, ha ritenuto e  ritiene che esso rientri nella logica della consacrazione sacerdotale e della  conseguente appartenenza totale a Cristo in vista dell'attuazione consapevole del  suo mandato di vita spirituale e di evangelizzazione.
2. Infatti, nel Vangelo secondo Matteo, un po' prima del brano sulla  separazione dalle persone care, che abbiamo appena citato, Gesù esprime in forte  linguaggio semitico un'altra rinuncia richiesta «a causa del regno dei cieli», la  rinuncia, cioè, al matrimonio. «Vi sono, dice, degli eunuchi che si sono resi tali  a causa del regno dei cieli» (Mt 19,12). Essi si sono, cioè, impegnati al celibato  per mettersi interamente al servizio del «Vangelo del regno» (cf. Mt 4,23; 9,35;  24,34).
Nella sua Prima lettera ai Corinzi, l'apostolo Paolo afferma di aver preso  risolutamente questo cammino e dimostra la coerenza della propria decisione  dichiarando: «Chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa  piacere al Signore. Chi è sposato, invece, si preoccupa delle cose del mondo, come  possa piacere alla moglie, e si trova diviso!» (1Cor 7,32-34). Certo, non conviene  che «si trovi diviso» colui che è stato chiamato a occuparsi, come sacerdote, delle  cose del Signore. Come dice il Concilio, l'impegno del celibato, derivante da una  tradizione che si ricollega a Cristo, è «particolarmente confacente alla vita sacerdotale. E' infatti segno e allo stesso tempo stimolo della carità pastorale, e  fonte di fecondità spirituale nel mondo» (PO 16).
E' ben vero che nelle Chiese orientali molti presbiteri sono legittimamente  coniugati secondo il diritto canonico che li concerne. Anche in quelle Chiese,  tuttavia, i vescovi vivono nel celibato, e così pure un certo numero di sacerdoti.  La differenza di disciplina, legata a condizioni di tempo e di luogo valutate dalla  Chiesa, si spiega col fatto che la perfetta continenza, come dice il Concilio, «non  è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio» (Ivi). Essa non appartiene  all'essenza del sacerdozio come Ordine, e quindi non è imposta in modo assoluto in  tutte le Chiese. Non sussistono, tuttavia, dubbi circa la sua convenienza e anzi  congruenza con le esigenze dell'Ordine sacro. Rientra, come s'è detto, nella logica  della consacrazione.
3. L'ideale concreto di questa condizione di vita consacrata è Gesù, modello  di tutti, ma specialmente dei sacerdoti. Egli visse da celibe, e per questo poté  dedicare tutte le sue forze alla predicazione del regno di Dio e al servizio degli  uomini, con un cuore aperto all'intera umanità, come capostipite di una nuova  generazione spirituale. La sua scelta fu veramente «per il regno dei cieli» (cf. Mt  19,12).
Con il suo esempio, Gesù indicava un orientamento, che è stato seguito.  Stando ai Vangeli, sembra che i Dodici, destinati ad essere i primi partecipi del  suo sacerdozio, abbiano rinunciato, per seguirlo, a vivere in famiglia. I Vangeli  non parlano mai di mogli o di figli a proposito dei Dodici, anche se ci lasciano  sapere che Pietro, prima di essere chiamato da Gesù era un uomo sposato (cf. Mt  8,14; Mc 1,30; Lc 4,38).
4. Gesù non ha promulgato una legge, ma proposto un ideale del celibato, per  il nuovo sacerdozio che istituiva. Questo ideale si è affermato sempre più nella  Chiesa. Si può capire che nella prima fase di propagazione e di sviluppo del  Cristianesimo un gran numero di sacerdoti fosse composto da uomini sposati, scelti  e ordinati sulla scia della tradizione giudaica. Sappiamo che nelle lettere a  Timoteo (1Tm 3,2-33) e a Tito (Tt 1,6) viene richiesto che, tra le qualità degli  uomini prescelti come presbiteri, ci sia quella di essere buoni padri di famiglia,  sposati a una sola donna (cioè fedeli alle loro mogli). E' una fase di Chiesa in  via di organizzazione e, si può dire, di sperimentazione di ciò che, come  disciplina degli stati di vita, corrisponda meglio all'ideale e ai «consigli»  proposti dal Signore. In base all'esperienza e alla riflessione si è  progressivamente affermata la disciplina del celibato fino a generalizzarsi nella  Chiesa occidentale in forza della legislazione canonica. Non era solo la  conseguenza di un fatto giuridico e disciplinare: era la maturazione di una  coscienza ecclesiale sulla opportunità del celibato sacerdotale per ragioni non solo storiche e pratiche, ma anche derivanti dalla congruenza sempre meglio  scoperta tra il celibato e le esigenze del sacerdozio.
5. Il Concilio Vaticano II enuncia i motivi di tale «intima convenienza» del  celibato con il sacerdozio: «Con la verginità o il celibato osservato per il regno  dei cieli, i presbiteri si consacrano a Cristo con un nuovo ed eccelso titolo,  aderiscono più facilmente a lui con un amore non diviso, si dedicano più  liberamente in lui e per lui al servizio di Dio e degli uomini, servono con  maggiore efficacia il suo regno e la sua opera di rigenerazione divina, e in tal  modo si dispongono meglio a ricevere una più ampia paternità in Cristo». Essi  «evocando così quell'arcano sposalizio istituito da Dio, e che si manifesterà  pienamente nel futuro, per il quale la Chiesa ha come suo unico sposo Cristo...  diventano segno vivente di quel mondo futuro, presente già attraverso la fede e la  carità, nel quale i figli della risurrezione non si uniscono in matrimonio».
Sono ragioni di nobile elevatezza spirituale, che possiamo riassumere nei  seguenti elementi essenziali: l'adesione più piena a Cristo, amato e servito con un  cuore non diviso (cf. 1Cor 7,32-33); la disponibilità più ampia al servizio del  regno di Cristo e, all'adempimento dei propri compiti nella Chiesa; la scelta più  esclusiva di una fecondità spirituale (cf. 1Cor 4,15); la pratica di una vita  simile a quella definitiva nell'al di là, e perciò più esemplare per la vita  nell'al di qua. Ciò vale per tutti i tempi, anche per il nostro, come ragione e  criterio supremo di ogni giudizio e di ogni scelta in armonia con l'invito di  «lasciare tutto», rivolto da Gesù ai discepoli e specialmente agli apostoli. Per  questo il Sinodo dei vescovi del 1971 ha confermato: «La legge del celibato sacerdotale, vigente nella Chiesa latina, deve essere integralmente conservata».
6. E' vero che oggi la pratica del celibato trova ostacoli, a volte anche  gravi, nelle condizioni soggettive e oggettive in cui i sacerdoti vengono a  trovarsi. Il Sinodo dei vescovi le ha considerate, ma ha ritenuto che anche le  odierne difficoltà siano superabili, se si promuovono «le condizioni opportune, e  cioè: l'incremento della vita interiore con l'aiuto della preghiera, dell'abnegazione, dell'ardente carità verso Dio e verso il prossimo, e con gli  altri sussidi della vita spirituale; l'equilibrio umano attraverso un ordinato  inserimento nella compagine delle relazioni sociali; i fraterni rapporti e i  contatti con gli altri presbiteri e col vescovo. attuando meglio, a tale scopo, le  strutture pastorali, e anche con l'aiuto della comunità dei fedeli».
E' una sorta di sfida che la Chiesa lancia alla mentalità, alle tendenze,  alle mentalità, alle tendenze, alle malie del secolo, con una sempre nuova volontà  di coerenza e di fedeltà all'ideale evangelico. Per questo, pur ammettendo che il  sommo pontefice possa valutare e disporre il da farsi in taluni casi, il Sinodo ha  riaffermato che nella Chiesa latina «l'ordinazione presbiterale di uomini sposati  non è ammessa neppure in casi particolari». La Chiesa ritiene che la coscienza di consacrazione totale, maturata nei secoli,  abbia tuttora ragione di sussistere e di perfezionarsi sempre più.
La Chiesa sa pure, e lo ricorda ai presbiteri e a tutti i fedeli col  Concilio, che «il dono del celibato, così confacente al sacerdozio della nuova  Legge, viene concesso in grande misura dal Padre, a condizione che tutti coloro che  partecipano del Sacerdozio di Cristo col sacramento dell'Ordine, anzi la Chiesa  intera, lo richiedano con umiltà e insistenza» (PO 16).
Ma forse, ancor prima, è necessario chiedere la grazia di capire il celibato  sacerdotale, che senza dubbio include un certo mistero: quello della richiesta di  audacia e di fiducia nell'attaccamento assoluto alla persona e all'opera redentiva  di Cristo, con un radicalismo di rinunce che agli occhi umani può apparire  sconvolgente. Gesù stesso, nel suggerirlo, avverte che non tutti possono capirlo  (cf. Mt 19,10-12). Beati coloro che ricevono la grazia di capirlo, e rimangono  fedeli su questa via!


Alcuni brani del Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, Congregazione per il Clero, 31 gennaio 1994

Convinta delle profonde motivazioni teologiche e pastorali che sostengono il rapporto tra celibato e sacerdozio e illuminata dalla testimonianza che ne conferma anche oggi, nonostante dolorosi casi negativi, la validità spirituale ed evangelica in tante esistenze sacerdotali, la Chiesa ha ribadito nel Concilio Vaticano II e ripetutamente nel successivo Magistero Pontificio la « ferma volontà di mantenere la legge che esige il celibato liberamente scelto e perpetuo per i candidati all'ordinazione sacerdotale nel rito latino».(176)
Il celibato, infatti, é un dono che la Chiesa ha ricevuto e vuole custodire, convinta che esso è un bene per se stessa e per il mondo.
Come ogni valore evangelico, anche il celibato deve essere vissuto quale novità liberante, come particolare testimonianza di radicalismo nella sequela di Cristo e segno della realtà escatologica. « Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Vi sono, infatti, eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca » (Mt 19,10-12).(177)
Per vivere con amore e generosità il dono ricevuto, è particolarmente importante che il sacerdote comprenda fin dalla formazione seminaristica la motivazione teologica e spirituale della disciplina ecclesiastica sul celibato.(178) Questo, quale dono e carisma particolare di Dio, richiede l'osservanza della continenza perfetta e perpetua per il Regno dei cieli, perché i ministri sacri possano aderire con maggior facilità a Cristo con cuore indiviso e dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini.(179) La disciplina ecclesiastica manifesta, prima ancora che la volontà del soggetto espressa dalla sua disponibilità, la volontà della Chiesa e trova la sua ultima ragione nel legame stretto che il celibato ha con l'ordinazione sacra, che configura il sacerdote a Gesù Cristo Capo e Sposo della Chiesa.(180)
La Lettera agli Efesini (cf 5, 25-27) pone in stretto rapporto l'oblazione sacerdotale di Cristo (cf 5, 25) con la santificazione della Chiesa (cf 5, 26), amata con amore sponsale. Inserito sacramentalmente in questo sacerdozio d'amore esclusivo di Cristo per la Chiesa, sua Sposa fedele, il presbitero esprime con il suo impegno celibatario tale amore, che diventa anche sorgente feconda di efficacia pastorale.
Il celibato, pertanto, non è un influsso che dall'esterno ricade sul ministero sacerdotale, né può essere considerato semplicemente un'istituzione imposta per legge, anche perché chi riceve il sacramento dell'Ordine vi si impegna con piena coscienza e libertà,(181) dopo una preparazione pluriennale, una profonda riflessione e l'assidua preghiera. Giunto alla ferma convinzione che Cristo gli concede questo dono per il bene della Chiesa e per il servizio degli altri, il sacerdote lo assume per tutta la vita, rafforzando questa sua volontà nella promessa già fatta durante il rito dell'ordinazione diaconale.(182)
Per queste ragioni, la legge ecclesiastica, da una parte conferma il carisma del celibato, mostrando come esso sia in intima connessione col ministero sacro nella sua duplice dimensione di relazione a Cristo e alla Chiesa; dall'altra tutela la libertà di colui che lo assume.(183) Il presbitero, allora, consacrato a Cristo con un nuovo ed eccelso titolo,(184) deve essere ben conscio che ha ricevuto un dono sancito da un preciso vincolo giuridico, da cui deriva l'obbligo morale dell'osservanza. Tale vincolo, assunto liberamente, ha carattere teologale ed è segno di quella realtà sponsale che si attua nell'ordinazione sacramentale. Con esso il presbitero acquista anche quella paternità spirituale, ma reale, che ha dimensione universale e si concretizza, in modo particolare, nei confronti della comunità che gli è affidata.(185)
Il celibato allora, è dono di sé « in » e « con » Cristo alla sua Chiesa ed esprime il servizio del sacerdote alla Chiesa « in » e « con » il Signore.(186)
Si rimarrebbe in una permanente immaturità se il celibato fosse vissuto come a un tributo che si paga al Signore » per accedere agli Ordini sacri e non, piuttosto, come « un dono che si riceve dalla sua misericordia »,(187) come scelta di libertà e accoglienza grata di una particolare vocazione di amore per Dio e per gli uomini.
L'esempio è il Signore stesso il quale, andando contro quella che si può considerare la cultura dominante del suo tempo, ha scelto liberamente di vivere celibe. Alla sua sequela i discepoli hanno lasciato « tutto » per compiere la missione loro affidata (cf Lc 18, 28-30).
Per tale motivo la Chiesa, fin dai tempi apostolici, ha voluto conservare il dono della continenza perpetua dei chierici e si è orientata a scegliere i candidati all'Ordine sacro tra i celibi (cf 2 Ts 2, 15; 1 Cor 7, 5; 9, 5; 1 Tm 3, 2.12; 5, 9; Tt 1, 6.8).(188)
Nell'attuale clima culturale, condizionato spesso da una visione dell'uomo carente di valori e, soprattutto, incapace di dare un senso pieno, positivo e liberante alla sessualità umana, si ripresenta spesso la domanda sul valore e sul significato del celibato sacerdotale o, quanto meno, sull'opportunità di affermare il suo stretto legame e la sua profonda sintonia con il sacerdozio ministeriale.
Difficoltà e obiezioni hanno sempre accompagnato, lungo i secoli, la scelta della Chiesa Latina e di alcune Chiese Orientali di conferire il sacerdozio ministeriale solo a quegli uomini che hanno ricevuto da Dio il dono della castità nel celibato. La disciplina delle altre Chiese Orientali che ammettono il sacerdozio uxorato, non è contrapposta a quella della Chiesa Latina. Infatti, le stesse Chiese orientali esigono comunque il celibato dai Vescovi. Inoltre, non consentono il matrimonio dei sacerdoti e non permettono successive nozze a quelli rimasti vedovi. Si tratta comunque sempre e soltanto dell'ordinazione di uomini già sposati.
Le difficoltà che alcuni anche oggi presentano,(189) si fondano spesso su argomenti pretestuosi, come per esempio l'accusa di spiritualismo disincarnato o che la continenza comporti diffidenza o disprezzo della sessualità, oppure prendono le mossa dalla considerazione di casi difficili e dolorosi, o anche generalizzano casi particolari. Si dimentica, invece, la testimonianza offerta dalla stragrande maggioranza dei sacerdoti, che vivono il proprio celibato con libertà interiore, con ricche motivazioni evangeliche, con fecondità spirituale, in un orizzonte di fedeltà convinta e gioiosa alla propria vocazione e missione.
È chiaro che, per garantire e custodire questo dono m un clima di sereno equilibrio e di spirituale progresso, devono essere praticate tutte quelle misure che allontanano il sacerdote da possibili difficoltà.(190)
È necessario, pertanto, che i presbiteri si comportino con la dovuta prudenza nei rapporti con le persone la cui familiarità può mettere in pericolo la fedeltà al dono oppure suscitare lo scandalo dei fedeli.(191) Nei casi particolari si deve sottostare al giudizio del Vescovo, che ha l'obbligo di impartire norme precise in materia.(192)
I sacerdoti, poi, non trascurino di seguire quelle regole ascetiche che sono garantite dall'esperienza della Chiesa e che sono ancor più richieste dalle circostanze odierne, per cui prudentemente evitino di frequentare luoghi e assistere a spettacoli o praticare letture che costituiscono un'insidia all'osservanza della castità celibataria.(193) Nel fare uso, come agenti o come fruitori, dei mezzi di comunicazione sociale, osservino la necessaria discrezione ed evitino tutto quanto può nuocere alla vocazione.
Per custodire con amore il dono ricevuto, in un clima di esasperato permissivismo sessuale, essi dovranno trovare nella comunione con Cristo e con la Chiesa, nella devozione alla Beata Vergine Maria e nella considerazione degli esempi dei sacerdoti santi di tutti i tempi, la forza necessaria per superare le difficoltà che incontrano nel loro cammino ed agire con quella maturità che li rende credibili innanzi al mondo.