Un contributo determinante dal punto di vista magisteriale è stato dato dall'enciclica Sacra virginitas, del 25 marzo 1954, del servo di Dio Pio XII.
Essa, come tutte le encicliche di quel Pontefice, rifulge per la chiara
e profonda impostazione dottrinale, per la ricchezza di riferimenti
biblici, storici, teologici, spirituali, e costituisce ancora oggi un
punto di riferimento di notevole rilievo.
Se, in senso stretto,
l'enciclica ha come oggetto formale, non il celibato ecclesiastico, ma
la verginità per il Regno dei cieli, nondimeno moltissimi sono, in essa,
gli spunti di riflessione e gli espliciti riferimenti alla condizione
celibataria anche del sacerdozio.
Il documento si compone di
quattro parti: la prima delinea la "vera idea della condizione
verginale", la seconda identifica e risponde ad alcuni errori
dell'epoca, che non perdono la loro problematicità anche nell'oggi, la
terza parte delinea il rapporto tra verginità e sacrificio, mentre
l'ultima, a mo' di conclusione, delinea alcune speranze e alcuni timori
legati alla verginità.
La verginità, nella prima parte,
è presentata come un modo eccellente di vivere la sequela di Cristo.
"Che cos'è, infatti, seguire se non imitare?", si domanda il Pontefice. E
risponde: "Tutti questi discepoli hanno abbracciato lo stato di
verginità per la conformità allo Sposo Cristo. (...) La loro ardente
carità verso Cristo non poteva contentarsi di vincoli di affetto con
Lui: essa aveva assoluto bisogno di manifestarsi con l'imitazione delle
Sue virtù e, in modo speciale, con la conformità alla Sua vita tutta
consacrata al bene e alla salvezza del genere umano. Se i sacerdoti
(...) osservano la castità perfetta, questo è in definitiva perché il
loro Divino Maestro è rimasto Egli stesso vergine fino alla morte".
In realtà, e non certo a caso,
il Pontefice assimila la condizione verginale sacerdotale a quella dei
religiosi e delle religiose, mostrando, in tal modo, come il celibato,
che differisce dal punto di vista normativo, abbia in realtà il medesimo
fondamento teologico e spirituale.
Un'altra ragione del celibato è
individuata dal Pontefice nell'esigenza, connessa al Mistero, di una
profonda libertà spirituale. Afferma l'enciclica: "Proprio perché i
sacri Ministri possano godere di questa spirituale libertà di corpo e di
anima, e per evitare che si immischino in affari terreni, la Chiesa
latina esige da essi che assumano volontariamente l'obbligo della
castità perfetta", e aggiunge: "I Ministri sacri, però, non rinunciano
al matrimonio unicamente perché si dedicano all'apostolato, ma anche
perché servono all'Altare".
Emerge, in tal modo, come alla
ragione apostolica e missionaria si unisca propriamente, nel magistero
di Pio XII, quella cultuale, in una sintesi che, oltre ogni
polarizzazione, rappresenta la reale e completa unità di ragioni a
favore del celibato sacerdotale.
Del resto già nell'esortazione
apostolica Menti nostrae, lo stesso Pio XII affermava: "Per la legge del
celibato, il Sacerdote, ben lontano dal perdere la paternità, la
accresce all'infinito, perché egli genera figliuoli, non per questa vita
terrena e caduca, ma per la celeste ed eterna".
Missionarietà, sacralità del
ministero, realistica imitazione di Cristo, fecondità e paternità
spirituale costituiscono, dunque, l'orizzonte imprescindibile di
riferimento del celibato sacerdotale, non indipendentemente dalla
correzione di alcuni errori sempre latenti, come il misconoscimento
dell'eccellenza oggettiva, e non certo per santità soggettiva, dello
stato verginale rispetto a quello matrimoniale, l'affermazione
dell'impossibilità umana a vivere la condizione verginale o l'estraneità
dei consacrati alla vita del mondo e della società. A tal riguardo
afferma il Pontefice: "Le anime consacrate alla castità perfetta non
impoveriscono per questo la propria personalità umana, poiché ricevono
da Dio stesso un soccorso spirituale immensamente più efficace che il
"mutuo aiuto" degli sposi. Consacrandosi direttamente a Colui che è il
loro Principio e comunica la Sua Vita divina, non si impoveriscono ma si
arricchiscono".
Tali affermazioni potrebbero
essere sufficienti a rispondere, con la necessaria chiarezza, a tante
obiezioni di carattere psico-antropologico, che ancora oggi vengono
mosse al celibato sacerdotale.
Ultimo grande e fondamentale
tema affrontato dall'enciclica Sacra virginitas è quello, più
propriamente sacerdotale, del rapporto tra verginità e sacrificio.
Osserva il Pontefice, citando sant'Ambrogio: "La castità perfetta non è
che un consiglio, un mezzo capace di condurre più sicuramente e più
facilmente alla perfezione evangelica (...) quelle anime "a cui è stato
concesso" (Matteo, 19, 11). Essa non è imposta, ma proposta".
In tal senso, è duplice l'invito di Pio XII sulla scia dei grandi Padri:
da un lato, egli afferma il dovere di "ben misurare le forze" per
comprendere se si è in grado di accogliere il dono di grazia del
celibato, consegnando a tutta la Chiesa, in tal senso, specialmente ai
giorni nostri, un sicuro criterio di onesto discernimento; dall'altro,
pone in evidenza l'intrinseco legame tra castità e martirio, insegnando,
con san Gregorio Magno, che la castità sostituisce il martirio e
rappresenta, in ogni tempo, la più alta ed efficace forma di
testimonianza.
Appare evidente a tutti come,
soprattutto nella nostra società secolarizzata, la perfetta continenza
per il Regno dei cieli, rappresenti una delle testimonianze più efficaci
e maggiormente capaci di "provocare" salutarmente l'intelligenza e il
cuore dei nostri contemporanei. In un clima sempre più grandemente, e
quasi violentemente eroticizzato, la castità, soprattutto di coloro che
nella Chiesa sono insigniti del sacerdozio ministeriale, rappresenta una
sfida, ancora più potentemente eloquente, alla cultura dominante e, in
definitiva, alla stessa domanda sull'esistenza di Dio e sulla
possibilità di conoscerlo e di entrare in rapporto con lui.
Mi pare ora doveroso mettere in
luce un'ultima riflessione sull'enciclica di Pio XII, poiché essa, più
delle altre, appare decisamente controcorrente rispetto a molti dei
costumi oggi diffusi anche tra non pochi membri del clero e in vari
luoghi di "formazione". Citando san Girolamo, il Pontefice mette in luce
come "a custodia della castità serve più la fuga che la lotta aperta
(...) e tale fuga consiste non solo nell'allontanare premurosamente le
occasioni del peccato, ma soprattutto nell'innalzare la mente, durante
queste lotte, a Colui al Quale abbiamo consacrato la nostra verginità.
"Rimirate la bellezza di Colui che vi ama" raccomanda Sant'Agostino".
Apparirebbe oggi quasi
impossibile all'educatore trasmettere il valore del celibato e della
purezza ai giovani seminaristi, in un contesto nel quale risulti, di
fatto, impossibile vigilare sulle visioni, sulle letture, sull'utilizzo
di internet, e sulle conoscenze. Se è sempre più evidente e necessario
il coinvolgimento maturo della libertà dei candidati in una volontaria e
consapevole collaborazione all'opera di formazione, non di meno
l'enciclica giudica un errore, e concordiamo pienamente, permettere a
chi si prepara al sacerdozio ogni esperienza, senza il necessario
discernimento e il dovuto distacco dal mondo. Permettere ciò equivale a
comprendere nulla dell'uomo, della sua psicologia, della società e della
cultura che ci circonda. Significa essere chiusi in una sorta di
ideologia preconcetta che va contro la realtà. Basta guardarsi attorno.
Quanto realismo nei versetti del salmo: "Hanno occhi e non vedono"!
Devo confidare, alla fine di
questo breve excursus sull'enciclica di Pio XII - ma lo stesso potrei
dire per l'Ad catholici sacerdotii di Pio XI - che rimango sempre
sorpreso della sua modernità e attualità. Pur permanendo la preminente
focalizzazione sull'aspetto sacrale del celibato e sul legame tra
esercizio del culto e verginità per il Regno dei cieli, il magistero di
questi due Pontefici presenta un celibato cristologicamente fondato, sia
nella direttrice della configurazione ontologica a Cristo
sacerdote-vergine, sia in quella della imitatio Christi.
Se appare in parte giustificata
la lettura che vede nel magistero papale sul celibato, anteriore al
concilio ecumenico Vaticano II, un'insistenza sulle argomentazioni
sacrali-rituali, e, in quello successivo al Concilio, un'apertura a
ragioni più cristologico-pastorali, nondimeno è doveroso riconoscere - e
questo è fondamentale per la corretta ermeneutica della continuità, ovvero per l'ermeneutica "cattolica" - che sia Pio XI, sia Pio XII
sottolineano ampiamente le ragioni di carattere teologico. Il celibato
risulta, dai menzionati pronunciamenti, non solo particolarmente
opportuno e appropriato alla condizione sacerdotale, ma intimamente
connesso con l'essenza stessa del sacerdozio, compresa come
partecipazione alla vita di Cristo, alla Sua identità e, perciò, alla
Sua missione. Non è certo un caso che quelle Chiese di rito orientale
che ordinano anche viri probati, non ammettono assolutamente
all'ordinazione episcopale presbiteri uxorati!
(©L'Osservatore Romano - 30 gennaio 2011)